Missili anti-tank contro Israele: la strategia di Hezbollah per "bucare" Iron Dome

Dal 7 ottobre, i miliziani libanesi hanno iniziato a usare missili anti-tank come armi di precisione per colpire obiettivi militari e civili. Le Idf non hanno contromisure necessarie a intercettarli e proteggere la popolazione

Missili anti-tank contro Israele: la strategia di Hezbollah per "bucare" Iron Dome
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Le strategie degli Hezbollah stanno mettendo in difficoltà l’esercito israeliano. Fin dal 7 ottobre, oltre ai più “tradizionali” attacchi con razzi e colpi di mortaio, i miliziani sciiti hanno iniziato a fare un uso estensivo di missili anti-tank come armi di precisione contro obiettivi civili. Una mossa, questa, che secondo il quotidiano Haaretz non ha precedenti nel mondo.

Hezbollah è una delle principali organizzazioni al mondo a utilizzare missili anticarro contro obiettivi non militari”, ha dichiarato Dotan Rochman, responsabile della sicurezza dell'Autorità regionale dell'Alta Galilea, la regione dove diversi insediamenti sono stati colpiti direttamente. “Il grande cambiamento che sta avvenendo ora è che li usano come armi da cecchini. Gli abbiamo insegnato che è possibile sparare missili da un elicottero Apache attraverso la finestra di un edificio. Ora stanno facendo la stessa cosa". Oltre ai danni materiali, questi attacchi hanno causato anche diverse vittime tra civili e militari, costringendo le autorità israeliane a ordinare l’evacuazione di 80mila persone dalle zone di confine. Il problema per lo Stato ebraico, però, è che i missili anti-tank utilizzati dai miliziani possono raggiungere bersagli anche a dieci chilometri di distanza dalla Linea blu, come testimoniato dagli attacchi alla base di sorveglianza aerea sul monte Meron e al kibbutz Kfar Szold, i cui residenti non sono stati allontanati perché si credeva che fossero al sicuro.

Quando abbiamo chiesto perché Kfar Szold non fosse stato evacuato, fonti dell'esercito ci hanno risposto che i missili anticarro hanno una gittata di soli cinque chilometri. Ma Hezbollah ha già raggiunto gittate maggiori e questa convinzione è crollata davanti ai nostri occhi”, ha spiegato ad Haaretz la leader dell’insediamento Pnina Eisenberg Borstein. “Sabato scorso, un missile anticarro è stato sparato contro la vicina Givat Ha'em e la minaccia si è concretizzata. C'è già una crisi di fiducia dal 7 ottobre, quindi la nostra ansia di certo non si alleggerisce quando vediamo cadere un presupposto di base dell’esercito”. La popolazione, dunque, chiede sicurezza e la possibilità di poter tornare a vivere in tranquillità, ma le Idf non hanno i mezzi per rispondere a questa minaccia.

Il sistema Iron Dome è in grado di avvisare la popolazione di un bombardamento in arrivo ed è capace di intercettare la maggior parte del fuoco ad alta traiettoria diretto contro i centri abitati. I missili anticarro, però, vengono sparati a tiro diretto e su una rotta orizzontale. Il loro tempo di permanenza in volo è relativamente lungo, circa 30 secondi, ma Israele non dispone di contromisure che possano dare ai civili un preavviso per cercare riparo o che siano in grado di intercettare i vettori. Il sistema Trophy, fondamentale per difendere i carri armati e gli Apc a Gaza, non può nulla contro i missili sparati verso edifici o gruppi di soldati. “Hezbollah sfrutta la nostra debolezza nel miglior modo possibile. Non ha aerei, artiglieria o carri armati, quindi cerca di operare in modo creativo”, spiega Yehoshua Kalisky, ricercatore presso l’Istituto per gli studi sulla Sicurezza nazionale.

Questo particolare utilizzo dei missili anti-tank permette inoltre a Hezbollah di mantenere l’intensità dello scontro al di sotto della soglia di guerra aperta, un limite che anche Israele al momento esita ad oltrepassare, ma garantisce la diffusione del terrore tra la popolazione in modo capillare e ben più efficace rispetto al lancio di centinaia di razzi.

Se lo Stato ebraico non riuscirà a formulare contromisure efficaci, dunque, l’unica strada rimasta per garantire la sicurezza delle regioni settentrionali potrebbe essere l’apertura di un secondo fronte bellico.

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