Il ritiro dal sud, il piano per Rafah e l'offensiva a nord: le prossime mosse di Israele

Cosa significa per le forze israeliane l'annuncio del ritiro dal sud di Gaza? Una tregua? Una svolta? O semplicemente l'Iran in questo momento fa più paura di Hamas?

Il ritiro dal sud, il piano per Rafah e l'offensiva a nord: le prossime mosse di Israele

Israele si ritira dal sud di Gaza. La notizia irrompe in questa domenica di inizio primavera, a sei mesi esatti dall'attacco di Hamas allo stato ebraico. Di accordo sugli ostaggi nemmeno l'ombra, mentre il Paese è assediato anche su altri due fronti: quello interno, con proteste che gitano i quattro angoli della nazione e che chiedono le dimissioni di Benjamin Netanyahu e del suo gabinetto; e quello "iraniano", che sta portando a una concentrazione delle operazioni militari nel nord contro Hezbollah e che attende, da un momento, all'altro "lo schiaffo in faccia" di Teheran come ritorsione per l'attacco al consolato di Damasco.

Quanto alla lotta contro Hamas, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato che l'organizzazione ha "smesso di funzionare come organizzazione militare in tutta la Striscia di Gaza", specificando però che Israele ha ancora intenzione di affrontare i battaglioni di Hamas a Rafah, nell'estremo sud della Striscia. Lo riporta il Times of Israel. Gallant, inoltre, ha spiegato in una nota che il ritiro delle truppe da Khan Yunis serve a "preparare il prosieguo delle missioni" e in particolare l'operazione a Rafah.

Qualcosa si muove?

I palestinesi sfollati stanno facendo ritorno a Khan Younis dopo che le truppe israeliane si sono ritirate dal sud della Striscia di Gaza. Al Jazeera (forse prossima alla chiusura) pubblica alcune immagini di civili che camminano tra le vie della città ridotta ormai in macerie dai pesanti raid aerei israeliani. E fa già scalpore un video pubblicato da parte di un soldato dell'Idf, Avraham Zrbeb, che documenta la distruzione a Khan Younis, soprattutto delle scuole.

Nel frattempo, una delegazione israeliana prenderà parte all'ultimo round di negoziati al Cairo per ottenere una tregua e un accordo sulla liberazione degli ostaggi. Lo scrive il Guardian, riferendosi a un funzionario del governo israeliano, secondo cui Tel Aviv aveva indugiato sulla partecipazione poiché l'evento sarebbe stato "più un teatro politico che un progresso reale". Le richieste di Hamas includono un cessate-il-fuoco permanente, il ritiro delle forze israeliane da Gaza, il ritorno degli sfollati e un "serio" accordo di scambio di prigionieri palestinesi con ostaggi israeliani detenuti a Gaza.

I dubbi Usa, l'atteggiamento di Netanyahu

Quale sarebbe la ratio del ritiro, dunque? Se l'ipotesi di una diversione di forze sembra essere la spiegazione più logica, la ricostruzione non convince Washington. Il ritiro parziale di Israele dal sud della Striscia di Gaza sarebbe stato deciso probabilmente per consentire alle truppe di "riposarsi e riorganizzarsi", piuttosto che un passo verso una nuova operazione, secondo la Casa Bianca. "Sono sul posto da quattro mesi, la voce che ci arriva è che sono stanchi, hanno bisogno di riposarsi", ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirby ai microfoni di This Week della ABC, anche se ha sottolineato che è "difficile sapere esattamente in questo momento cosa significhi". Getta ancora più nella confusione la postura di Netanyahu, criptico sul significato del ritiro: il primo ministro continua ad affermare che affermato che Israele è a un passo dalla vittoria e promette che non ci sarà alcun cessate il fuoco finché Hamas non avrà liberato tutti gli ostaggi.

Resta in dubbio un futuro attacco a Rafah. Nonostante il ritiro annunciato oggi, infatti, l'attacco al valico resta un obiettivo delle Idf. Proprio su questo punto, lunedì scorso, si è tenuto un durissimo scontro virtuale tra israeliani e americani per discutere i piani di invasione di Rafah, a cui Washington si oppone. Ron Damer, il ministro israeliano degli Affari Strategici, si è scagliato contro gli omologhi americani quando questi hanno definito irrealistico il piano israeliano di spostare, prima dell'inizio dei bombardamenti, 1,4 milioni di civili palestinesi, che in questi quasi sei mesi di guerra sono stati costretti a fuggire sempre più a sud. Il piano israeliano di questo trasferimento di civili, non prevede una valutazione delle necessità igieniche, alimentari e sanitarie di questa enorme tendopoli. Senza contare che gli israeliani al momento hanno a disposizione solo una frazione delle centinaia di migliaia di tende che sarebbero necessarie.

Il Corridoio di Netzarim

Nel frattempo, dopo l'annuncio del ritiro, l'emittente israeliana affiliata alla Cnn, Channel 1, ha annunciato che le truppe dell'Idf ora stazioneranno presso il cosiddetto Corridoio di Netzarim. Si tratta di un passaggio est-ovest che taglia la striscia di Gaza nel senso della latitudine. Costruito dalle forze israeliane, è lungo circa sei chilometri: le immagini satellitari mostrano come sia stano definitivamente completato in questi mesi, permettendo un accesso sicuro che parte dal confine tra Gaza e Israele fino al Mar Mediterraneo. Il corridoio taglia una delle due principali direttrici nord-sud di Gaza, Salaheddin Street, creando un nodo di appoggio operativo utile per logistica e movimento di truppe.

Il corridoio si connette anche con un'altra via importante, la Al Rashid Road, che corre lungo la costa. Questa striscia dovrebbe rendere più semplice lanciare raid a nord di Gaza city e a sud. Dovrebbe essere utilizzata per circa un anno e avrà tre corsie: una per i mezzi blindati e pesanti, una per i veicoli leggeri e una per gli spostamenti rapidi, che potranno raggiungere il mare da Be'eri in soli sette minuti. Ma l'obiettivo è anche quello di controllare i flussi di popolazione, fungere da filtro per controllare eventuali movimenti e passaggi di miliziani di Hamas. Quello che ora la popolazione palestinese teme è che il corridoio sia una sorta di blocco, un confine valicabile per pochi come ai tempi della Seconda Intifadah.

Il fronte nord

Il ritiro dal sud di Gaza è stato visto da molti come una necessità di concentrare le forze nel nord per affrontare Hezbollah e i suoi attacchi. Le forze israeliane stanno "espandendo le operazioni contro il movimento sciita filo-iraniano Hezbollah e rafforzando la loro preparazione contro tutti gli organismi che rappresentano una minaccia". Lo ha detto il ministro della Difesa di Israele, Yoav Gallant, intervenendo durante un'esercitazione militare ad Haifa, nel nord dello Stato ebraico. "Dobbiamo essere preparati e pronti a qualsiasi eventuale minaccia, sia contro i nemici vicini che contro quelli più lontani", ha affermato Gallant.

L'esercito israeliano, inoltre, ha dichiarato oggi di prepararsi a passare dalla difesa all'attacco per quanto riguarda le operazioni al confine settentrionale con il Libano. A questo proposito è stata completata un'altra fase preparatoria del comando settentrionale per la guerra che ruota attorno all'aumento delle capacità dei depositi operativi di emergenza al fine di reclutare su larga scala forze per l'Idf quando dovesse essere necessario.

Queste ultime dovranno essere pronte per arrivare in prima linea entro un breve periodo con tutto l'equipaggiamento necessario per il combattimento. L'Idf ha inoltre dichiarato che i comandanti dell'unità regolari di riserva sono da questo momento pronti a essere schierati entro poche ore.

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