Gustavo Pietropolli Charmet, classe 1938, è stato primario di servizi psichiatrici, docente di psicologia e ha scritto parecchi saggi di spessore scientifico sul disagio psicologico adolescenziale.
Professore, ha seguito le rivolte di Londra?
«Sì,e non riesco a vedere l’aspetto politico della sommossa di questi giovani. So per certo, però, che quello che li accomunaè la rabbia e la disperazione che gli deriva dal vedere ogni giorno morire il proprio futuro, dal vivere in un eterno presente senza sbocchi dovendo per giunta assistere a consumi e sprechi da parte di altri che, ai loro occhi, non hanno titoli di merito per poter comportarsi così».
La miccia«politico-sociale»della rivolta, però, è stata l’assassinio del nero Mark Duggan.
«Questi sono sempre pretesti per innescare quella che è ormai una modalità espressiva piuttosto diffusa: la battaglia di strada. Una specie di messa in scena teatrale che ha le sue regole, com’è accaduto anche in Nord Africa. Si combatte con quello che si trova, si distrugge a vuoto, senza scopo, si dà alle fiamme. Capita che si rubi, ma più spesso si vuole solo provocare macerie ».
Per farne che?
«Nulla. Decenni fa simili giornate di violenza sarebbero state seguite da una mobilitazione sociale, da una rappresentanza politica o rivoluzionaria, ma oggi l’obiettivo di questi giovani non è impadronirsi del Palazzo d’Inverno. Piuttosto, vogliono conquistare l’occhio delle telecamere,la Rete Uno, Due e Tre, diventare visibili, passare dal mutismo sociale a questa specie di isola dei famosi. E così si lasciano andare a una gita scolastica da black bloc in cui, vista l’impossibilità di nascere socialmente, si fa un falò per attirare l’attenzione».
C’è dietro, però qualcosa che somiglia a un coordinamento.
«Naturalmente bisogna che funzioni internet e che le tivù trasmettano, ma non vi è traccia di ideologia né di clandestinità anarchica. Né, come dicevo, di politica. Al massimo si vuole lasciare il documento di una protesta. Che questa protesta sgorghi dall’assassinio di un nero,da una squadra di calcio che perde, dalla monnezza per le strade di Napoli, è solo casuale. Si cerca un pretesto esterno per delle motivazioni affettive. È significativo, poi , che alcuni di questi giovani siano immigrati di seconda generazione che possono percepire meglio, in modo più grave se vogliamo, ciò che li priva del futuro».
Una situazione come Londra potrebbe verificarsi anche qui in Italia?
«Assolutamente sì. In parte sta già accadendo. Il fatto che fuori dalle discoteche ci siano più ambulanze che motociclette è indicativo.
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