Hamas incrina il fronte Nato: Ankara apre agli estremisti

Il premier Erdogan vuole «offrire una chance» al partito islamico palestinese e si prepara a invitare una delegazione. Israele a Putin: gli ultrà aiutano i ribelli ceceni

Gian Micalessin

da Gerusalemmeo

Doveva essere un muro di ghiaccio. Una gelida cortina capace d’isolare Hamas dal resto del mondo. Ma la barriera diplomatica evocata da Israele e da Washington mostra già le prime crepe. Dopo gli inviti di Mosca, dopo gli assensi francesi, anche la Turchia apre le porte ai vincitori delle elezioni palestinesi. E così, dopo la frattura inflitta dalla Russia all’unità del Quartetto diplomatico, Ankara si prepara a infrangere la compattezza dell’Alleanza Atlantica. La notizia dell’arrivo di una delegazione fondamentalista nell’unico Paese Nato a maggioranza islamica viene annunciata dai quotidiani turchi e confermata dallo stesso leader di Hamas, Ismail Haniya.
«Una nostra delegazione è pronta a far visita all’Iran e anche alla Turchia», ha detto ieri il numero uno delle liste di Hamas destinato, secondo voci sempre più insistenti, ad assumere l’incarico di primo ministro del nuovo governo. I portavoce del ministero degli Esteri turco sottolineano, per ora, l’impossibilità di rivolgere inviti ufficiali a esponenti di Hamas prima di una loro entrata nel governo palestinese. L’invito - per quanto personale - potrebbe arrivare, però, dallo stesso primo ministro Tayyp Erdogan. Il premier, eletto con i voti dell’elettorato musulmano, resta pur sempre il leader dell’Akp, un partito moderato, ma di stretta osservanza islamica.
Erdogan, del resto, ha sostenuto la necessità di «offrire una chance ad Hamas» subito dopo il trionfo fondamentalista alle elezioni palestinesi. La chance offerta da Erdogan presenta però molte contro indicazioni e ha già innescato la reazione di Israele e Stati Uniti. L’invito - oltre a mettere a repentaglio i rapporti diplomatici, commerciali e militari stretti nel corso dei decenni da Ankara e Israele - rischia d’incrinare l’unità della Nato e di rendere più tesi i rapporti con Washington. Ma gli effetti collaterali potrebbero anche esser voluti e ricercati. Le ottime relazioni con Israele fanno della Turchia un interlocutore e un mediatore ideale garantendole, nel caso di trattativa con Hamas, un ruolo di primo piano sullo scacchiere mediorientale governato un tempo dal grande impero ottomano. Erdogan, pur esibendo moderazione, non ha mai scordato d’essere stato eletto grazie ai voti e al sostegno di un elettorato prettamente islamico.
Dal punto di vista della politica interna l’invito ad Hamas appare quindi un gesto quasi obbligato. Sul piano dei rapporti con Washington la mossa è, invece, un altro segnale dell’insofferenza nei confronti di un alleato pronto a favorire la nascita di un embrione di Stato curdo sul territorio iracheno. Israele, preoccupato dalla rapidità con cui Hamas si sottrae all’isolamento diplomatico, prepara intanto le contromosse. Per reagire all’apertura russa ad Hamas - già definita «una coltellata alla schiena» - i diplomatici israeliani sottolineano la contiguità ideologica tra la dirigenza di Hamas e la guerriglia fondamentalista cecena. E per comprovarla esibiscono l’ampia documentazione offerta dal sito d’intelligence www.intelligence.org. Secondo quel sito, assai vicino al governo israeliano, «Hamas è totalmente ostile alla Russia, si identifica con i separatisti ceceni e sostiene le loro attività terroristiche considerate parte di una jihad mondiale».
Sul fronte palestinese, anche il presidente Abu Mazen e la sua Fatah si preparano a controbattere l’egemonia fondamentalista. Nell’ultima seduta del Parlamento uscente i deputati di Fatah hanno approvato una legge, dal dubbio valore costituzionale, che garantisce al presidente il potere di respingere qualsiasi legge approvata dal nuovo Consiglio legislativo. Hamas, pur con la maggioranza assoluta, rischia dunque di non poter legiferare senza il sì presidenziale. Hamas per ora non reagisce e prepara invece la candidatura a premier di Haniya, padre della svolta politica del movimento.

In un’intervista a un quotidiano russo, Khaled Meshaal, capo dell’ufficio politico di Hamas in esilio, ha intanto confermato il no a qualsiasi riconoscimento di Israele prima di un suo ritiro da tutti i territori occupati.

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