Harem, geishe e kamasutra: in Oriente il sesso è scienza

Antonella Ferrera analizza i costumi erotici dall’India al Giappone e spiega perché la loro arte della seduzione è così lontana dall’Occidente

Harem, geishe e kamasutra: 
in Oriente il sesso è scienza

Se è vero che i costumi sessuali influenzano le società, è ancora più vero che le società – cultura, stili di vita, economia ecc.– influenzano i costumi sessuali. Harem, geishe, kamasutra sono nati in Oriente, insieme a quasi tutto ciò che consideriamo un erotismo raffinato e voluttuoso. In Occidente, particolarmente in Europa, niente del genere. Come mai? Troppo facile, anche se non del tutto sbagliato, addossare ogni responsabilità al cristianesimo, religione vigilante sulle abitudini sessuali dei maschi quanto delle femmine.

In un fascinoso volume (Segreti d’Oriente, Sellerio, 260 pagine, 12 euro), Antonella Ferrera analizza e racconta desiderio, eros, riti e miti dell’amore nelle principali culture orientali: Cina, Giappone, India, Islam. È un viaggio attraverso secoli e luoghi, fino ai giorni nostri, pieno di riferimenti letterari e sociologici, di memorie storiche e di documentazioni dell’arte amatoria. Un viaggio che esplora i segreti di un erotismo «silenzioso e docile, ma anche abile e raffinato, esplicito, che fa ancora oggi sognare molti maschi occidentali». I quali maschi occidentali – noi – sono portati a credere che sia il ruolo sottomesso della donna la principale origine dei piacered’Oriente.

Invece, proprio i maschi occidentali «non hanno compreso che estasi erotica significa mettere al centro la donna, perché è il suo piacere, il suo appagamento, che porta alla fusione perfetta, all’intreccio ritmico e armonioso dei corpi, dove l’uomo si può sentire un re». In India, del resto, sia l’erotismo sia l’ascetismo si fondavano su tecniche di controllo del corpo - lo yoga - e la danza assumeva un ruolo sacro. Esempio classico della sessualità indiana è il kamasutra (mitizzato quanto poco praticato da noi) antichissimo manuale di comportamento erotico chei gnora passioni e sentimenti, dominio virile e pudori femminili, per trarre dai corpi il massimo del piacere.

Ciononostante, in mancanza del messaggio cristiano, l’inferiorità della donna in Oriente è sempre stata maggiore, e ha generato, per l’esclusivo piacere maschile, pratiche persino più crudeli della cintura di castità che ebbe tanto successo nel nostro Medioevo: come la fasciatura dei piedi in Cina, che riduceva gli arti delle povere vittime a orribili moncherini, «gigli di loto», considerati segni irrinunciabili di sensualità e femminilità: ma che erano anche la prova di un’educazione alla sopportazione del dolore – e quindi di docilità – acquisita fin dall’infanzia. È una pratica che oggi ci fa, ovviamente, orrore. Ma Sergio Valzania, nell’introduzione al volume, ci induce a riflettere su «alcune pratiche di chirurgia estetica che si vanno diffondendo nella nostra società», sulla ricerca dolorosa di un’omologazione «a un modello di bellezza dato, per raggiungere il quale vengono affrontati sacrifici a volte non indifferenti.

Antonella Ferrera, giornalista, scrive e conduce raffinati programmi culturali per Radio2 e Radio3, fra cui La storia in giallo e Rosso scarlatto. È anche autrice di saggi (tra cui Il fiore e la spada. Zen e arti marziali, Baldini Castoldi Dalai, 2005) e sa come miscelare racconto, storia e informazione in modo mai banale e noioso. È esemplare la descrizione degli hammam e degli harem arabi, di come i profumi venissero usati per creare una atmosfera sensuale, con contorno di antiche ricette afrodisiache a base di semi di papavero, zafferano, cannella, e di strumenti di bellezza: il segreto del sorriso bianchissimo delle ospiti/prigioniere nei gusci d’uovo macinati, mentre a rendere le labbra rosse e lucide era ilpepe masticato (con chi sa quali effetti collaterali).

Quanto al Giappone, è facile capire la sfrenata sensualità di quel popolo – e la magia delle geishe - se si pensa che secondo un mito scintoista il Giappone e tutto il mondo sono nati da unatto sessuale. Unaltro libro illustra bene quanto sia diversa l’antica sessualità europea, con ricadute fino ai giorni nostri. Il titolo, quanto mai esplicito, è La voglia dei cazzi (Edizioni Mercurio, 142 pagine, 12 euro). Sono una ventina di fabliaux, su circa centocinquanta esistenti, che hanno ispirato i più pudici Boccaccio e Bandello, che esibiscono una sensualità semplice, per non dire rozza, spesso basata sulle dimensioni dell’oggetto, più che sull’erotismo.

So che il titolo farà sobbalzarequalcuno, ma è la traduzione corretta di un fabliau duecentesco in lingua d’oïl (Le sohait des vez), che spesso era stato pudicamente tradotto come Il sogno folle. Il nuovo traduttore dell’opera, in un italiano moderno e colloquiale, è il medievista e romanziere raffinatissimo Alessandro Barbero. Il traduttore/curatore ha scelto «di fingere che nell’epoca in cui viviamo né le parole, né le cose facciano più paura, nemmeno neititoli.

Ma sarà poi davvero così?» Già, sarà davvero così? Quanti signori e signore se la sentiranno di aprire, seduti in metropolitana o su una panchina di parco, un libro così intitolato? Nonostante i nostri tempi «liberati» il pudore occidentale di fronte a simili espressioni (e contenuti) è addirittura forse maggiore che in quel medioevo che ci ostiniamo a considerare «buio», anzi solo tenebroso.

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