Paola Fucilieri
da Milano
«Chiedo perdono alla mia famiglia, ai genitori di mia moglie e alla mia bambina che dovrà crescere senza la sua mamma... Dio mio! Come ho fatto? Come ho potuto? Perché? Per favore, perdonatemi... Andavamo daccordo, volevo vendere la casa e fuggire con lei e le bambine».
Carlo Raimondi è una montagna di muscoli che sfiora il metro e 95, ma in Procura, a Lodi, sembra piccolo piccolo piegato comè su se stesso, seduto sulla poltroncina davanti al magistrato Michela Versini e ai carabinieri. Tutti lo ascoltano in silenzio, mentre lui biascica parole e lacrime, con quelle mani grandi schiacciate sugli occhi bagnati. Sono le 2.30 di giovedì notte. E farebbe quasi pena questo omone di 40 anni se, dopo oltre sette lunghissime ore dinterrogatorio, non avesse appena confessato quello che tutti temevano sin dallinizio. E cioè che è stato lui, la mattina del 23 ottobre scorso, ad ammazzare sua moglie, una donna allottavo mese di gravidanza, la 38enne Carmela Cilento, riempiendola di pugni nel loro appartamento di San Giuliano milanese durante una lite nata per motivi economici. Poi lha abbandonata proprio nel punto dove giovedì mattina, dopo 10 giorni, è stato trovato il cadavere, accanto al letto e al feto del suo bimbo. Un neonato venuto alla luce dopo il decesso della madre o mentre lei era in stato di semincoscienza. Morto.
«Non so se fosse già morta quando sono fuggito - dice Raimondi al pm - ma ho avuto paura, ho perso la testa. Così, quando lho vista a terra priva di sensi, le ho appoggiato sul viso tumefatto il sacco nero per limmondizia che teneva in mano mentre discutevamo: non volevo più vedere quello spettacolo tremendo. Prima di prendere la mia bambina e scappare via, ho lasciato un biglietto che facesse pensare che non avevo trovato in casa Carmela ed ero dovuto partire allimprovviso. «Vado via per sistemare la nostra situazione economica - ho scritto -. Non preoccuparti e ritira i soldi dellassicurazione». Ma non sono mai andato in Svizzera, come avevo detto in un primo tempo. Quando i carabinieri mi hanno chiamato, ieri mattina, ero in provincia di Como, in un albergo, con mia figlia».
I rapporti della coppia si erano incrinati da un po. Da quando, 4 mesi prima, Raimondi, si era messo in malattia. La donna, che faceva la parrucchiera in casa, lo aveva più volte pregato di moderarsi con il danaro, di non vivere al di sopra delle proprie reali possibilità, quelle di semplice operaio che arrotondava come buttafuori in discoteca nel fine settimana. Invece lui era tornato a casa addirittura con un fuoristrada nuovo di zecca, una spesa che Carmela non condivideva. Così, quando lui - in cucina, durante la colazione e mentre la bambina guardava i cartoni animati in salotto - le aveva confessato che era indebitato fino al collo e non sapeva come fare a restituire gli oltre 200mila euro di interessi maturati dal prestito ottenuto da un gruppo di russi, la moglie non ha esitato a buttargli in faccia tutto il suo disprezzo, dando forma concreta, con le sue parole, alle paure del marito: quella di restare in mezzo a una strada, senza un tetto sulla testa, perseguitato, lui e la sua famiglia, da gente senza scrupoli. Dinanzi ai tremendi scenari che gli si prospettavano, Raimondi è stato così colto da una rabbia cieca e improvvisa. Ha trascinato quindi Carmela in camera da letto e ha cominciato a prenderla a pugni in faccia e in testa con quelle sue mani enormi. Lei, uno scricciolo di donna e perdipiù incinta.
Per ora Carlo Raimondi è stato rinviato a giudizio dal gip di Lodi, Alessandro Conti - che ieri ha convalidato larresto per omicidio volontario - solo per lassassinio della moglie.
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