Homo tecnologicus, ultima frontiera della specie

Una nuova dimensione dell’umanesimo si evolve contro le troppe Cassandre anti-tecnologiche

"Cosa significa essere liberi nell'epoca delle tecnologie?": è il tema sul quale parleranno Stefano Moriggi e Gianluca Nicoletti, autori di Perché la tecnologia ci rende umani (Sironi) oggi alle 16.30 all'Università Statale di Milano. Al filosofo Stefano Moriggi abbiamo chiesto di anticipare il suo intervento.

La libertà è un po’ come Dio. La si è detta in molti modi, ma ogni definizione, per quanto sofisticata e pervasiva, pare insufficiente a contenere l’inafferrabile grandezza e le molteplici sfaccettature che di epoca in epoca - alla libertà come a Dio - si è cercato di riconoscere.
Nell’ormai classico Saggio sulla libertà, John Stuart Mill nel 1859 cercava di tradurre l’afflato libertario del suo pensiero attraverso un approccio negativo. Ovvero, per il filosofo inglese la «libertà civile o sociale» (di questa sola accezione intendeva occuparsi!) andava espressa non elencando gli spazi e le ragioni del consentito e del lecito; ma al contrario, individuando le eventuali motivazioni che ne giustificassero una restrizione, attraverso vincoli o divieti legislativi. In breve, «il solo scopo per cui si può legittimare un potere su un qualunque membro di una comunità civilizzata contro la sua volontà è per evitare danno agli altri». Un atteggiamento che, circa un secolo dopo, Isaiah Berlin continuava a considerare un potente antidoto contro le potenziali ricadute totalitarie che, invece, un’idea «positiva» della libertà portava con sé.

In quello stesso 1859 in cui Stuart Mill mandava alle stampe il suo Saggio, l’«idea pericolosa» di Charles Darwin, oltre alla ben nota rivoluzione nelle scienze del vivente, inaugurava un programma di ricerca in cui il concetto di libertà avrebbe potuto essere riqualificato nei termini di una progressiva conquista dell’evoluzione delle specie. E a mio modo di vedere, tale prospettiva scientifica ha offerto anche l’opportunità filosofica per inquadrare il perimetro della nostra autonomia di scelta e di azione in un’epoca riplasmata - e per alcuni minacciata - da tecnologie sempre più invasive.

A ben vedere, effettivamente, anche Darwin ha in qualche modo suggerito di comprendere e di descrivere la libertà a partire dal concetto di vincolo. Basterebbe provare a rileggere - e qualche tempo fa il filosofo americano Daniel Dennett ha mostrato la fattibilità dell’esercizio in questione - l’evoluzione (tanto quella biologica quanto quella culturale) nei termini di una progressiva emancipazione da limiti e impedimenti fisici, ambientali e anche concettuali. Nessuno, credo, avrebbe difficoltà a riconoscere che un cane è più «libero» di un albero, ma meno di un esponente della nostra specie. Evolvere significa, appunto, adattarsi, ma l’adattarsi implica anche - e ciò vale soprattutto per l’Homo sapiens sapiens - la capacità di ripensare le condizioni di abitabilità del mondo. E la cultura, in questo senso, si è rivelata uno «strumento» straordinariamente efficace.

L’evoluzione di strumenti e concetti, infatti, ha costantemente permesso di ridefinire modi e tempi di pratiche e consuetudini, riscrivendo nel tempo significati e valori - compreso quello di libertà. Pertanto, da questa prospettiva, la libertà può essere dunque colta come un orizzonte di condotte e ragionamenti consentito e circoscritto dai vincoli - ovvero le condizioni - che natura e cultura hanno di volta in volta determinato. E le tecnologie - che, senza alcuna esitazione, vanno annoverate tra le avanguardie della nostra cultura - inevitabilmente incarnano i dispositivi con cui stiamo ridisegnando le dinamiche di quella convivenza civile a cui Stuart Mill cercava di garantire tutta la libertà che non arrecasse danno ad alcuno. L’evoluzione ci racconta una meravigliosa successione di «libertà condizionate», entro cui si sono faticosamente costruite tradizioni e civiltà. E noi non facciamo eccezione.

Dal telefonino al computer, dalle biotecnologie alle nanotecnologie, macchine che ormai costituiscono l’irrinunciabile corredo delle nostre giornate (lavorative e non) sono i nuovi vincoli - ovvero, i nuovi contesti evolutivi - in cui è iscritta la libertà ci è dato vivere e pensare. Nel progresso tecnologico, quindi, prendono forma le dinamiche entro cui si sviluppano le coordinate con cui ci orientiamo, sempre più liberamente, nel mondo.

Abbandonarsi a ingiustificate ansie, talora insufflate in animi sensibili da improbabili Cassandre anti-tecnologiche, non aiuta nemmeno a percepire - proprio come riteneva di fare Stuart Mill - eventuali rischi e potenziali «eccessi» in grado di minacciare legittime scelte e condotte di donne e uomini. Al punto che sorge un sospetto.

Forse, il vero spettro che inquieta tali presunti filantropi - e che li induce a immaginare illegittimi ed esotici divieti (si pensi ai recenti dibattiti su come «regolamentare» Internet) - va piuttosto cercato proprio nei nuovi orizzonti di libertà che la tecnologia apre; quegli stessi entro cui stiamo ridisegnando i nostri corpi e le nostre idee. Ovvero, stiamo evolvendo...

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