I 14 minuti di rabbia: «Presidente, sono mesi che mi racconta storie»

«Ciao Roberto, come sta la famiglia?»: ecco il faccia a faccia parola per parola

Passate ventiquattr’ore dal licenziamento, nessuna notizia ufficiale dall’Inter. Roberto Mancini non aveva bisogno di saperlo, ma la società doveva aver dimenticato anche il bon ton. Ieri alle quattro del pomeriggio parlavano solo le zanzare della Saras. Eppure Moratti era stato chiaro. Mancini era andato all’appuntamento con il presidente sperando ancora di poter dire qualcosa e magari di parlare del mercato. Dopo la vittoria scudetto aveva giocato a ping pong con la società: parli tu, parlo io, non parla nessuno. Moratti aspettava che fosse lui ad andarsene, lui aspettava di conoscere il pensiero di Moratti, che tante volte aveva smentito l’ingaggio di Mourinho, ed eventualmente qualche gustosa offerta di lavoro. Ma intanto progettava il futuro dell’Inter e il modo per evitare altre seccature. Però, appena messo piede nello studio del presidente, ha capito. Di non aver capito niente. O forse di aver capito tutto già sei mesi fa. E di non aver sbagliato previsione la sera dell’eliminazione in Champions. Piu o meno è andata così. Tempo della chiacchierata non più di quattordici minuti.

Moratti: Buon giorno Roberto, come va?
Mancini: Bene, grazie.
Moratti: La famiglia?
Mancini: Bene, grazie.
Moratti: Roberto, devo darti una brutta notizia.
Mancini: Immaginavo.
Moratti: Devo mandarti via.
Mancini: No, vuole mandarmi via. È diverso.
Moratti: No, non dire così. Sai, la squadra, lo spogliatoio, ho parlato, qualcosa non va. Meglio cambiare.
Mancini: Non dica queste cose. Lei Mourinho l’aveva già preso a gennaio.
Moratti: Ma no, non è come pensi tu.
Mancini: Nooo! Sono sei mesi che racconta storie. Io sono stato corretto e non ho mai raccontato storie. E questa è una decisione che non capisco.
Moratti: Cosa dici, non fare così, ascolta!
Mancini: Ascoltare cosa? Lei, questo scudetto del centenario, non se l’è goduto nemmeno un secondo.
Moratti: Cosa c’entra. Ora calmati e parliamo con tranquillità.
Mancini: Visto che mi manda via, posso anche non ascoltare. Non ne ho voglia, ora.
Moratti: Non lasciamoci così, cerchiamo di parlare almeno della questione economica... della tua buonuscita.
Mancini: Nessuna buonuscita, mi deve quattro anni di contratto. Non le sconto nemmeno un euro. Ma di questi problemi parleranno gli avvocati. E con questo la saluto.
Mancini ha preso e se n’è andato, deluso e infuriato. Moratti, dopo aver usato un certo sadismo per licenziare Gigi Simoni (lo caccia mentre l’altro va a ritirare un premio), dopo essersi fatto scoprire un po’ voltagabbana per mandar via Zaccheroni, stavolta ha mostrato una perfida aria vendicativa. O forse, il suo, è stato solo un atto di gelosia. I pissi pissi morattiani raccontano che la rivolta di spogliatoio era capeggiata da Ibrahimovic. La replica degli amici di Mancini racconta le sue parole: «Prima di Parma ho chiesto a Ibra: per favore, te la senti di giocare almeno mezzora? E lui ha risposto: entro, vinciamo lo scudetto ed esco».


Ora Mancini pensa al futuro: non si vede più in Italia. Crede ad una vita in Inghilterra. «Il Paese ideale per uno che ama il calcio», ha sempre detto. La stessa idea di Moratti. Ma chissà se i due parlano dello stesso calcio?

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