«I conti con la storia vanno fatti sempre con coerenza. Noi li abbiamo fatti e proprio per questo sarò a San Pietroburgo a fine giugno per rendere omaggio agli italiani vittime dei gulag staliniani» ha detto di recente il segretario dei Ds Piero Fassino. Il Giornale ha pubblicato mercoledì 11 aprile 2007 questa dichiarazione. Noi vogliamo sottolinearne il significato e lampiezza velleitaria. I gulag sono comunque lautentica spina dorsale del regime sovietico: non solo quantitativamente ma soprattutto dal punto di vista ideologico e ideale. Essi sono la realtà vera e criminale del comunismo. Qual è la loro storia che coinvolse anche antifascisti italiani tra gli 85 milioni di vittime dello stalinismo e della dottrina dellonnipotenza statuale?
La loro origine nasce nellarcipelago delle isole Solovki, nel Mar Bianco a circa 160 chilometri dal Circolo polare artico. Allinizio del XV secolo sullarcipelago sorse un monastero ortodosso; secondo la tradizione, il primo monaco Savvatij giunse sulle isole verso il 1435; a lui si unì lo starec German, e insieme crearono la prima fondazione sul lago ai piedi del mondo Sekira. Il fiorente monastero, avamposto di civiltà verso lArtico glaciale, venne poi trasformato dal potere sovietico nel suo contrario, in lager «ideale», in cui mettere a punto un sofisticato e tragicamente efficace sistema concentrazionario, ben presto allargato a tutta lUrss.
Certo, ci sono libri già famosi come quelli del Premio Nobel Aleksandr Solzenicyn e Vladimir Bukovskij che costituiscono lossatura del dissenso antisovietico: ma la storia dei gulag è lunga e martoriata tanto da costituire un capitolo enorme pari alla storia drammatica di un Paese gestito con la violenza da Lenin a Kruscev e dal loro cinismo.
I gulag sono prima di tutto il luogo del lavoro forzato in cui veniva utilizzato, senza retribuzione, il lavoro dei dissidenti e dei cittadini incarcerati senza processo, ma comunque imprigionati senza libertà di pensiero o di azione. I gulag contano in modo essenziale sul lavoro, non pagato, per la costruzione di opere pubbliche gigantesche il cui costo non grava sul bilancio dello Stato sovietico, ma sugli stessi lavoratori.
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