I Darkness al Mazda, suoni anni Settanta

Il quartetto britannico originario di Norfolk ha saputo conquistarsi l’affetto degli appassionati del rock di una volta

Luca Testoni

Non sono certo tipi di basso profilo i Darkness. Oltre a snocciolare riff che sembrano rubati agli AC/DC e melodie cantate spesso e volentieri in falsetto, il quartetto del Suffolk pare divertirsi un mondo a tenere vivi i cliché triti e ritriti del rock’n’roll tutto eccessi ed eccentricità assortite. Anche perché di fronte a un mercato discografico in evidente sofferenza di vendite e di idee, l’importante è distinguersi. E, perché no, far parlare di sé. Nel bene e nel male. Ne sa qualcosa Justin Hawkins, il frontman che non perde mai occasione per mettersi in mostra. Perennemente in bilico tra ironia e kitsch.
Ricordate tre anni fa, ai tempi del successo, inatteso e per certi versi esagerato del primo album Permission to land? A colpire nel segno, ancora prima dell’evidente rivisitazione di suoni e atmosfere dell’hard rock più classico degli anni Settanta della band formatasi nei pub della provincia inglese, erano state proprio le bizzarre tutine tigrate indossate dal beffardo cantante-chitarrista.
Che cosa fanno poi l’appariscente Justine, il fratello chitarrista Dan e il batterista Ed Graham dopo aver cacciato il bassista Frankie Poullain, oggi rimpiazzato da Richie Edwards? Per lanciare il singolo One Way Ticket, apripista del secondo album, One Way Ticket To Hell...and Back, inventano una trovata a effetto: sono la prima band al mondo che, come incipit di una canzone (“figlia” di sonorità care a Def Leppard e Bon Jovi), fa ascoltare il tipico rumore di chi si prepara e consuma una pista di cocaina.
La “sniffata” non poteva passare inosservata agli occhi dei media britannici, feroci censori delle relazioni pericolose con la “polvere bianca” delle star d’Oltremanica. Avete presente lo scandalo Pete Doherty-Kate Moss?
Ma Justin Hawkins, che al momento esibisce una notevole pancia da birra, non demorde. E nel nuovo tour, lo stesso che porta i Darkness domani sera (ore 21, ingresso 25 euro) al Mazda Palace di Lampugnano, fa il suo ingresso sul palco sfoggiando seni enormi. Naturalmente gonfiabili e di plastica.
Tornando a discorsi prettamente musicali, va sottolineato che per realizzare One Way Ticket To Hell...and Back, il quartetto si è rivolto a Roy Thomas Baker, il produttore dei primi quattro dischi dei Queen. E si sente. Infatti, l’hard-rock facile, teatrale e un po’ datato della band inglese, spesso si trasforma in un esplicito tributo a Freddy Mercury e compagni.
Novità strumentali a parte (il ricorso ad archi e flauti, per esempio), il nuovo disco non sembra per altro discostarsi poi molto dal fortunatissimo cd di esordio, grazie al quale hanno incassato vendite milionarie e premi a iosa. Non sorprende perciò che presso la critica musicale britannica l’indice di gradimento dei “boys” dalla vita esagerata sia in deciso calo.
«Solo perché si mettono in posa e suonano come se lo fossero, è un malinteso comune credere che i Darkness siano un gruppo rock. Non lo sono. Anzi, “fanno schifo” a fare rock.

I Darkness sono un gruppo pop vestito da gruppo rock»: questa l’impietosa disamina di Nme, il noto magazine musicale made in England, recensendo il lavoro uscito lo scorso autunno. Tuttavia, Hawkins e soci, nel frattempo pronti a fare il salto nella categoria del rock da stadio, non se la prendono più di tanto.

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