Non tirate per la tonaca il Papa in vista del 9 aprile. Non fategli fare dichiarazioni di voto. Fareste un torto alla maestà pontificia e ai valori custoditi nella fede se forzaste nell'interpretazione la parola di Ratzinger facendone lo sponsor o il censore di questo o quel partito. Certo, il rapporto tra gli indirizzi della Chiesa e le norme dello Stato esiste e bisogna pur discuterne senza ricorrere ad anatemi o a investiture di sorta.
Vorrei esporre il mio punto di vista liberale e laico. Il Papa ha proclamato che alcuni valori non sono negoziabili. Si è riferito ai principi della vita, della famiglia e del diritto dei genitori di scegliere la scuola a cui mandare i figli. L'indirizzo pontificio è tutt'altro che nuovo. Da tempo la Chiesa ribadisce la sua dottrina sulle materie etiche, dalla procreazione assistita all'omosessualità, dall'aborto ai Pacs.
Come d'altronde potrebbe essere diversamente? La verità per la religione non può che essere una e una sola, e non è negoziabile perché trascendente e sacra. Se il pontefice o la gerarchia ecclesiale dichiarassero accettabili i sistemi di valori anche di segno contrastante e contrapposto al proprio, entrerebbero in contraddizione con la missione di verità che testimoniano nel mondo.
Il pontefice, dunque, e il corpo ecclesiastico hanno tutto il diritto (per loro, dovere) di pronunziarsi sulle questioni rilevanti e di manifestare i loro orientamenti morali e religiosi. E se ciò fosse ostacolato ci troveremmo fuori dalla società liberale e dallo Stato laico. Che sono tali, cioè liberali e laici, solo se esiste per tutti la concreta possibilità di manifestare apertamente le proprie credenze e di svolgere nella massima libertà la propria azione, tanto più quando si tratta della religione cattolica che in Italia è tradizione nazionale.
Il dibattito sull'interpretazione del pronunciamento papale inizia però quando si passa dal terreno religioso, cioè dal campo della libertà di culto e di coscienza, alla politica. È lo stesso pontefice a ribadire che gli interventi della Chiesa «nel pubblico dibattito» non costituiscono «una forma di intolleranza e di interferenza ma tendono esclusivamente ad illuminare le coscienze». Sottolineo «illuminare le coscienze». Pertanto le coscienze dei politici che sono credenti sono illuminate dagli indirizzi della Chiesa e così sono indirizzate anche nello spazio pubblico.
Ma la politica, per la sua stessa natura, è l'arte dove si compongono le diverse visioni della società e i diversi sistemi di valori anche in campo morale. La non negoziabilità dei valori della Chiesa non può divenire non negoziabilità dei principi che ispirano le leggi dello Stato anche nel caso in cui alcuni di questi principi siano ritenuti, a torto o a ragione, maggioritari. Il pensiero liberale insegna che sulla coscienza e sui valori morali non si può decidere a maggioranza.
Per il laico lo Stato non può imporre i suoi principi, cioè non deve essere etico. Il suo opposto è proprio lo Stato neutrale che consenta a tutte le opinioni, a tutte le visioni morali e a tutte le credenze religiose di esprimersi al meglio. Non si può ignorare che oggi su questioni come la procreazione assistita, le coppie di fatto e l'aborto nella società italiana si confrontano opinioni molto discordanti, non tanto come giudizi morali, quanto sul modo di regolamentarle con norme dello Stato valide per tutti. Chi si batte perché la Chiesa possa sempre e comunque parlare ad alta voce, chiede però che sia rispettata l'autonomia della politica e che la forza dello Stato non venga utilizzata per imporre una determinata visione morale a tutta la comunità.
In Italia si dibatte se vi sia una rinascita dello spirito religioso o, al contrario, sia in aumento la secolarizzazione nei costumi e nei comportamenti. Non importa se hanno ragione gli uni o gli altri: probabilmente la verità sta da tutte e due le parti.
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