I fratelli Somarè: Milano raccontata col garbo dell’arte

La Rotonda della Besana ospita le opere di Guido, scomparso nel 2003, e di Sandro: «Ho sempre dipinto questa città che amo. Se un pittore vuole essere internazionale prima deve essere “locale”»

Michela Moro

«Ho sempre dipinto Milano, perché mi piace moltissimo, se un pittore vuole essere internazionale deve prima essere locale, non esiste una pittura al di fuori della vista» dichiara Sandro Somarè passeggiando nella Rotonda di via Besana, dove fino al 30 luglio sono esposti i suoi lavori e quelli del fratello Guido. «Guido e Sandro Somarè. Distanza e prossimità» è infatti un racconto profondamente legato a Milano e alla sua storia artistica.
L'artista si sofferma di fronte ad un grande dipinto del Duomo e dice «Il Duomo non è bello, ma l'ho dipinto perché al centro vedo mia madre e mia nonna, che avevano posato come modelle per il portale principale, una come Bambin Gesù e l'altra come la Madonna, vedo sempre nei miei lavori le persone che voglio vedere». Figli di Enrico, storico e critico della Pittura Italiana dell'800 e nipoti di Cesare e Guido Tallone, importanti pittori della Scapigliatura e della Ritrattistica lombarda tra '800 e '900, i fratelli Somarè sono stati tra i protagonisti della scena culturale milanese che, a partire dagli anni '50, ruotava attorno al Bar Jamaica, assieme a Gianni Dova, Aldo Bergolli, Mario Rossello e molti altri. Sandro Somarè è molto pigro, viaggia solo per trovare gli amici, ma il suo inizio artistico fu rapidissimo. «Feci la mia prima mostra a Parigi dopo solo tre mesi aver iniziato a dipingere, due o tre quadri erano orribili, ma la tecnica fu molto apprezzata. Per molto tempo utilizzai solo ceracolor, un materiale impossibile da correggere che mi obbligava a decidere mentalmente in anticipo tutto il lavoro, con una pazienza che impiegavo solo nei quadri. Adesso uso acrilici, polveri, ossidi e mi faccio i colori da solo».
I suoi lavori rarefatti e sospesi sono in realtà un percorso milanese molto personale, le vetrate dei cortili diventano immagini astratte e si guarda alla Banca d'Italia e alla Stazione Centrale con occhi diversi. «Mi piace tutto di Milano, anche la periferia che frequento quando porto a spasso i cani» continua, ed ecco i cieli al limitare della città, con costruzioni indefinite.
C'è molta architettura, anche negli interni, è lo spazio che lo interessa, e il tempo, che è sempre un tempo presente, Somarè non è interessato al passato, e questo «presente» fa sì che chi guarda i suoi quadri si trovi immediatamente proiettato lì dove vuole l'artista. Anche Guido Somarè, scomparso nel 2003, ha raccontato Milano. L'ha fatto con grandi disegni su carta da spolvero, dipinti molto velocemente e con decisione. Grandi scorci, angoli inattesi, luoghi familiari che diventano misteriosi e sospesi. «Era un disegnatore mille volte più bravo di me - dice Sandro, mentre osserva una figura femminile appena accennata - il disegno è fuori del tempo, Ingres può essere più moderno di Picasso, e il tratto di Guido è unico, preciso, perfetto». Lo stesso mistero si ritrova nelle grandi, ambigue pitture femminili, evocazioni surrealiste all'interno di ambienti domestici. E ancora l'abilità del disegnatore si coniuga con quella del pittore nei ritratti di Joyce e Gertrude Stein.
C'è qualcosa di «volante» nei lavori di Guido, che intriga sottilmente e fa immaginare racconti e situazioni un po' magiche, in cui i personaggi non sono mai realmente quello che dichiarano di essere.

Colpisce il silenzio che si riscontra nei lavori dei due fratelli, da un lato eleganti e vivaci protagonisti del mondo milanese, grandi e ironici raconteurs, con addirittura degli antenati diplomatici cinesi, dall'altro pittori non chiassosi, come se il loro naturale charme si traducesse in pittura in una sottile ragnatela pronta ad avviluppare l'osservatore. Completa la mostra, a cura di Nicoletta Pallini, un catalogo che approfondisce, attraverso molte fotografie, la vita artistica milanese e la storia delle famiglie Somarè, così indissolubilmente legate.

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