I geni che avevano scelto il distanziamento (a)sociale

Proust barricato, Darwin solitario, Gould intoccabile E Warhol s'invecchiava per non apparire attraente

I geni che avevano scelto il distanziamento (a)sociale

Vi dico la verità: a me il distanziamento sociale piace, non ho mai amato la vicinanza dei corpi estranei, le strette di mano, i contatti fisici non desiderati. Vero anche che sono ipocondriaco, e Covid a parte ho sempre pensato che chiunque può trasmetterti qualsiasi cosa, e anche quando mi vedo mi sento comunque qualsiasi sintomo, e quando non ho sintomi penso di avere i sintomi dell'asintomatico.

Anche per questo mi sono ritrovato in molte storie narrate da Brian Dillon nel libro Vite di nove ipocondriaci eccellenti (il Saggiatore), perché nulla conforta di più l'ipocondriaco che ritrovare il proprio disagio negli altri, specie se illustri. Ho trovato, insomma, molti miei parenti. Marcel Proust è da sempre stato mio fratello, oltre che lo scrittore che ho più studiato: soffriva d'asma ma della sua malattia ha fatto una barriera per tenere lontano il mondo e dedicarsi alla sua opera. Era malato, ma esagerava i sintomi per ottenere le attenzioni della mamma e in generale per tenere lontano il prossimo. Come Charles Darwin, che per me è un padre, e padre della teoria scientifica che ha cambiato per sempre la storia dell'uomo (il suo primo schizzo sull'evoluzione, disegnato su un bloc-notes nel 1837, ce l'ho tatuato sul braccio, se proprio dovevo avere un tatuaggio ho scelto il disegno più importante per la nostra specie, avendo dovuto vincere la fobia di affrontare un ago e un tatuatore).

Soffriva di tutto papà Charles, vomito nervoso, tremori, aerofagia, brividi, a tal punto che nelle lettere a Joseph Hooker disperava di riuscire a scrivere qualcosa di valore scientifico (incredibile, proprio lui, Darwin), e si sentiva «spento», «stupido», «vecchio», «fiacco». Ma, come nel caso di Proust, scrisse che «la cattiva salute, sebbene abbia annientato diversi anni della mia vita, mi ha risparmiato le distrazioni della società e del divertimento». Non voleva frequentare scienziati, voleva dedicarsi alla sua ricerca in solitudine, e non c'è niente di meglio che convincere sé stessi e gli altri di stare male.

Ah, e poi il mio cugino Glenn Gould, che all'ipocondria univa la mia stessa farmacodipendenza: prendeva di tutto, indipendentemente dalle necessità, farmaci per l'ipertensione, il mal di testa, la gotta, la costipazione, vitamina C in quantità industriale, e con Glenn condivido anche l'indifferenza verso i piaceri della tavola, mangiava tutto quello che gli capitava secondo gusti ancora adolescenziali, come me. Quando un autore di un libro di ricette, nel 1973, gli chiese il suo piatto preferito per inserirlo nel volume, Gould rispose: «La mia attitudine di base è che si tratti di una scocciatura che richiede tempo. E sarei felice di potermi procurare tutti gli elementi nutrizionali necessari con la semplice assunzione di X pillole al giorno».

Odiava l'esercizio fisico (quelli che lo amano mi sembrano i veri pazzi), come anche essere toccato, addirittura non gli si poteva dare la mano. Sentite questa: dovendo comprare un nuovo pianoforte dalla Steinway, Bill Hupfer, un tecnico, gli dette la mano e una lieve pacca sulla spalla, e Gould il 6 dicembre 1960 gli intentò causa civile, sostenendo di aver subito lesioni al collo, alla spalla e alla mano. Per risarcimento chiese 300mila dollari, e da allora chiunque ci pensava due volte prima di tendere la mano a Gould.

Altro mio parente strettissimo non poteva essere che Andy Warhol, il genio della Pop Art. Che con il proprio corpo ha avuto problemi fin da ragazzo, diventando calvo a vent'anni e scegliendo di indossare parrucche sempre più vistose, presto grigie, come se fosse già vecchio, con una strategia ben precisa. Infatti: «Ho deciso di diventare grigio così nessuno avrebbe capito quanti anni avevo e mi avrebbero trovato più giovane dell'età che pensavano avessi. (...) Sarei stato esentato dalla responsabilità di comportarmi da giovane - potevo occasionalmente avere atteggiamenti eccentrici o senili e nessuno ci avrebbe trovato nulla da ridire perché avevo i capelli grigi. Quando hai i capelli grigi ogni mossa, invece di essere considerata normale, appare giovane e frizzante. È come avere un talento speciale». Temeva che perfino i tumori fossero contagiosi, ma c'è da dire che la sua ipocondria e paura della morte aumentò a partire da quanto successe il 3 giugno del 1968 alle 16,15. Quel pomeriggio Valerie Solanas, autrice femminista del libro manifesto Society for Cutting Up Men (Società per l'Eliminazione dei Maschi), la solita attivista contro la solita società patriarcale, entrò alla Factory e gli sparò. Mio fratello Warhol rischiò di morire, subì un lungo intervento a cuore aperto, il suo corpo pieno di cicatrici è ostentato nelle foto scattategli da Richard Avedon.

Certo, scegliere Andy Warhol come simbolo della società patriarcale dimostra quanto le femministe abbiano sempre preso abbagli per bersagli, ma in compenso questa storia, dopo tutte le polemiche che ho avuto con le femministe di oggi, mi ha fatto venire una nuova fobia: quella di vedermi entrare in casa la Murgia con un mitra.

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