I giochetti del professore

Siamo in piena estate, ma il presidente del Consiglio ha i brividi, a Palazzo Chigi sembrano già sentire il gelo dell’autunno che oltre a far cadere le foglie, spesso fa rovinare al suolo i governi.
Il messaggio di Romano Prodi indirizzato genericamente «ai cittadini» ha in realtà un destinatario istituzionale preciso: i partiti della sinistra radicale. Rivolgendosi direttamente agli elettori, chiedendo loro comprensione per il risultato (controproducente) del Protocollo sul welfare e le pensioni firmato il 23 luglio scorso, Prodi tenta non solo di salvare la faccia e la poltrona, ma prova a mettere in piedi una duplice operazione politica: 1) smarcarsi ancora una volta dalla guerra intestina tra riformisti e massimalisti; 2) mettere in difficoltà il suo principale avversario, l’unica persona che può sfrattarlo da Palazzo Chigi: Walter Veltroni.
Se guardiamo l’azione di governo, la lettera di Prodi è la certificazione di un fallimento che sfiora il ridicolo quando esalta il contenuto «popolare» degli scioperi contro se stesso, ma se spostiamo lo sguardo sui giochi di potere nel centrosinistra, sul magma che ribolle dentro il nascente Partito Democratico, allora il Professore appare come il più cinico e temibile dei giocatori. Cinico perché fa la sua partita - senza curarsi della forma e della sostanza - fino al punto di ritenere «migliorabile» (e dunque modificabile) un accordo considerato fino a ieri «inemendabile». Temibile perché il «primum vivere» che traspare dalla sua lettera è l’urlo disperato di chi è aggrappato al potere, ma nello stesso tempo è il calcolo millimetrico del personaggio che ha meno da perdere nella partita drammatica in corso nel centrosinistra. Prodi è un politico consumato, in tutti i sensi. Logorato dal meccanismo infernale che ha messo in piedi, sente scricchiolare la baracca, ma l’esperienza del 1998 per lui è stata un corso di sopravvivenza: piuttosto che finire nel tritacarne della sinistra radicale è disposto a schiacciare a destra gli alleati riformisti. Veltroni in testa e Fassino a ruota. Rutelli è da tempo non pervenuto, impegnato nel trasloco dalla sede della Margherita per organizzare la sua corrente nel Pd.
In queste condizioni, una manovra di palazzo contro Prodi è difficile: gli aspiranti leader sono impegnati nel gioco dell’Opa dentro il Pd e non avrebbero mai la fiducia delle sinistre. Il pericolo imminente per Prodi arriva dall’accoppiata Rifondazione-Cgil. E allora il premier fa balenare a Epifani e Giordano una prossima modifica della legge Biagi. Un altro passo indietro per la competitività dell’Italia, ma l’unica ancora di salvezza per le segreterie del principale sindacato e del partito dominante della sinistra radicale.

Sventolando la «conquista» di una revisione della riforma del lavoro, Rifondazione e Cgil calmeranno i bollenti spiriti della Fiom e dei movimenti antagonisti, mentre Prodi potrà navigare ancora. Sempre a vista e circondato dai coccodrilli.

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