L’ex-presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva è stato formalmente accusato dai magistrati responsabili dell’operazione Lava Jato (la “Mani Pulite” brasiliana) di essere il “comandante máximo” del gigantesco sistema di corruzione legato al suo partito, il Partido dos Trabalhadores (PT), e alla statale petrolifera Petrobras.
I giudici brasiliani hanno presentato le accuse lo scorso mercoledì, durante una conferenza stampa, accusando il governo Lula di essere stato una “propinocracia” (traducibile come “mazzettocrazia”, ndr). Secondo gli inquirenti, l'esecutivo del "presidente-operaio" avrebbe distribuito incarichi e posti di comando ad alleati del PT con l’obiettivo di raccogliere tangenti, garantire la governabilità e mantenere il partito al potere.
Gli uomini messi nei gangli vitali della pubblica amministrazione brasiliana avrebbero avuto l’unica funzione di rastrellare fondi neri attraverso fatture gonfiate e contratti illegali. In questo modo, secondo i magistrati, si sarebbe creato un “materasso di risorse” destinati a finanziare campagne elettorali, costruire alleanze politiche e arricchire personalmente i politici coinvolti.
Per il procuratore di Curitiba, Deltan Dallagnol, responsabile del pool che indaga sulla Lava Jato, “Lula era il maestro di questa grande orchestra organizzata per saccheggiare le casse pubbliche”. Secondo Dallagnol, l’ex-presidente brasiliano sarebbe stato il massimo beneficiario della corruzione nel governo. “Lula ha continuato ad adoperarsi per questo sistema criminale anche dopo la fine del suo mandato presidenziale. Senza di lui un sistema del genere sarebbe stato, in teoria, impossibile”, ha affermato il procuratore di Curitiba.
Tuttavia, Lula è stato messo in stato d’accusa insieme alla moglie, Marisa Letícia, solo per corruzione e riciclaggio legati al caso specifico dell’attico sulla spiaggia di Guarujá. L’immobile sarebbe stato acquistato e ristrutturato dal gigante delle costruzioni OAS, sotto indagine per contratti gonfiati con la Petrobras, e poi donato all’ex-presidente brasiliano e i suoi familiari. Secondo i procuratori, si tratterebbe di una bustarella da 2,4 milioni di reais (circa 700 mila euro). Oltre a Lula e alla moglie, altre sei persone sono state accusate dai magistrati di Curitiba.
Secondo i magistrati, i fondi per l’attico di Lula sarebbero derivati da una “cassa generale” di mazzette dovute al PT dalla OAS. Risorse provenienti da tre contratti superfatturati con la Petrobras, per un valore superiore a 87,6 milioni di reais (circa 26 milioni di euro). L’accusa ha chiesto che Lula restituisca questo montante alle casse pubbliche.
Oltre a questa accusa formale, i giudici stanno indagando sulla serie di conferenze tenute da Lula dopo aver lasciato la presidenza del Brasile, pagate profumatamente dalla stessa OAS e da altri big delle costruzioni, come la Oderbrecht. Tutte aziende coinvolte nel sistema di mazzette della Petrobras.
Per la legge brasiliana, se condannato per corruzione, Lula potrebbe scontare una pena fino a 12 anni di carcere, che può essere aumentata in caso di violazione del “dovere funzionale” del pubblico ufficiale. Nel caso di riciclaggio, la pena può arrivare fino a dieci anni di reclusione, aumentata se dovesse venire considerato membro di un’”organizzazione criminale”.
L’ex-presidente brasiliano ha risposto dichiarandosi innocente e negando qualsiasi accusa. Secondo la difesa di Lula, l’attico non sarebbe di sua proprietà né sarebbe mai stato usato dalla sua famiglia e le conferenze sarebbero state regolarmente fatturate. Gli avvocati del “presidente-operaio” si sono persino rivolti all’ONU e alla commissione per i diritti umani dell’Organizzazione degli Stati Americani, accusando i magistrati di Curitiba di persecuzione politica ai danni del loro cliente.
Lula è già stato accusato in un altro processo a Brasilia di essere “il capo della gang” e di “non potere non sapere” del sistema di tangenti in atto.
Oltre alle accuse presentate mercoledì, Lula è sotto indagine per altre due inchieste, anche queste derivanti dall’operazione Lava Jato. Un’indagine che dura dal 2014 e che ha portato in carcere politici e imprenditori brasiliani di primissimo piano, e che non accenna a fermarsi, scoprendo quasi quotidianamente nuovi scandali di corruzione in diversi settori dell’amministrazione pubblica brasiliana. In un altro processo a Brasilia, Lula è stato accusato di essere “il capo della gang” e di “non potere non sapere” del sistema di tangenti in atto.
Lula è stato presidente del Brasile dal 2003 al 2010, quando grazie alla sua grande popolarità è riuscito a far eleggere la sua delfina, Dilma Rousseff, deposta il 31 agosto scorso.
Nel tentativo di salvare il suo padrino politico, la scorsa primavera la Rousseff aveva nominato Lula ministro della Casa Civil, in modo da garantirgli l’immunità e il foro privilegiato presso il Supremo Tribunale Federale (STF), la Corte Costituzionale brasiliana, sottraendolo così al radar della magistratura ordinaria di Curitiba. Tentativo naufragato dopo l’impeachment della Rousseff. Lula è oggi un comune cittadino, e dovrà quindi rispondere in tribunale alle accuse dei magistrati.
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