I mezzibusti amati dalla sinistra: quelli che finiscono a fare politica

Nuova ambitissima qualifica al Tg1: l’epurato speciale. La brama ardentemente Maria Luisa Busi, bionda mezzobusta improvvisatasi rivoltosa che, caduta in disgrazia dopo l’uscita del direttore-sponsor Gianni Riotta, punta adesso a emulare la precedente collega dal bel viso, Lilli Gruber, nel passaggio dal video al seggio. Anche la Busi - sussurrano i corridoi di Saxa Rubra - prepara lo sbarco in politica, come candidata del centrosinistra nel 2013, nel frattempo si porta avanti autopromuovendosi Giovanna d'Arco (de noantri) della resistenza al «regime» minzoliniano e denunciando «rappresaglie interne». La Busi è sconvolta perché il direttore si è permesso di fare al Tg1 quel che tutti i direttori fanno ovunque, cioè spostamenti, cambi e promozioni. Ma la normale prassi redazionale alla Rai diventa blasfemia e al Tg1 addirittura lesa maestà. Perciò la mossa di sostituire i conduttori, togliendo dal video gente che manteneva quel privilegio dal 1982 (come Tiziana Ferrario), ha scatenato il consueto festival dell'epurazione e degli spiriti liberi della libera informazione. Tutti, peraltro, entrati in Rai in quota partitica e rimasti lì, al Tg1, all'ombra di qualche potentato politico. Guai a toccarli però.
La suddetta Ferrario (soprannominata dagli operatori Rai «Lady Terrazzo», perché a Kabul e Bagdad rimane in hotel mentre ai tecnici tocca girare per le strade e riportare il «girato» alla star rintanata nella business room), arrivata in Rai in quota Mino Martinazzoli e poi entrata nell’alveo della sinistra cattolica, quella dei Paolo Gentiloni e delle Rosy Bindi; il caporedattore (promosso peraltro da Minzolini) Piero Damosso, sinistra cattolica, proveniente dalla galassia torinese di Guido Bodrato, prima alla Rai di Torino poi al Tg1; e poi Paolo Di Giannantonio, da 16 anni in conduzione (Paolo Frajese ne fece sei in meno, Vespa dieci), di area margheritina-marrazziana (prima dello scandalo trans), figlio dell’ex deputato dc abruzzese Natalino Di Giannantonio.
Guai a toccarli, perché i direttori passano, ma loro restano, ben aggrappati al potere dominante che in Rai, da un cinquantennio, è quello catto-comunista (lo stesso che ha governato la Roma dei Rutelli e dei Veltroni). Specie nel Tg1 che ha forgiato onorevoli, eurodeputati e presidenti di regione, sempre del centrosinistra. Breve riepilogo: la Gruber, eletta a Strasburgo come ulivista nel 2004, prima ancora Piero Badaloni, mezzobusto del Tg1 diventato governatore margheritino del Lazio, più indietro ancora Demetrio Volcic, storico corrispondente da Mosca del Tg1 passato in politica come senatore del Pds e poi europarlamentare Ds. Finita? No, c’è stato anche Nuccio Fava, già direttore del Tg1, candidato alla presidenza della Calabria per il centrosinistra (ma gli andò male) e quindi al Parlamento europeo con l’Udeur (ma gli andò male pure quella), poi Bruno Mobrici ex portavoce dell’Idv (c’è ancora, ma il collega ha rotto da tempo con Di Pietro), il prodiano Gad Lerner, direttore per qualche mese, e prima ancora il prodiano Albino Longhi, curatore dell’immagine del Professore. Per tornare all’oggi, c’è il Gruber in versione maschile, cioè David Sassoli, ex vicedirettore del Tg1 e attuale europarlamentare Pd. Sassoli, avendo già fatto il passo, dice da Strasburgo quel che la Busi dice da Saxa Rubra, giocando la parte del paladino dell’informazione autonoma (pur militando in un partito). Insieme alla bionda conduttrice e al caporedattore Massimo De Strobel (sostituito da Minzolini con un caporedattore di area non berlusconiana ma dalemiana, Leonardo Sgura), all’epoca Riotta costituivano il cosiddetto «soviet» del Tg1. Tutti i servizi venivano visionati e valutati preventivamente dal soviet che, avendo l’appoggio del direttore, godeva di un potere assoluto. Sassoli, ricordano al Tg1, promosso vicedirettore da Riotta rimase comunque conduttore, già questa un’anomalia. Ma non solo. Quando ci fu il terremoto all’Aquila, Sassoli chiese a Riotta di essere inviato lì in Abruzzo, un teatro utile in vista della candidatura annunciata qualche settimana dopo. Quindi contemporaneamente vicedirettore, conduttore e inviato. Ma il Cdr, nonostante il malumore della redazione per il «prezzemolismo» delle poche star tuttofare gradite al direttore, non disse nulla.
Con Minzolini invece il Cdr si è risvegliato duro e puro, e così anche l’Usigrai (sindacato Rai pendente a sinistra) e pure la Fnsi. Non c’è decisione del «direttorissimo» che non venga contestata, impugnata e denunciata come un sopruso all’informazione oggettiva. Come se fosse la redazione del New York Times, «All the news that’s fit to print».

No, non è esattamente il Nyt, ma il Tg1, con un soviet interno che ha poco a che fare col giornalismo anglosassone e dove la conduzione sembra un privilegio eterno, mentre al Tg2 e al Tg3 i mezzibusti cambiano e nessuno protesta. Non è il Nyt, anzi, avanti così e somiglierà alla scuola di formazione quadri del Pd.

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