«I miei cinquant’anni di “Tutto il calcio ...”»

«I miei cinquant’anni di “Tutto il calcio ...”»

Dieci olimpiadi, otto campionati del mondo, centinaia di partite di nuoto e pallanuoto, radiocronista del mondo, genovese: Alfredo Provenzali, personaggio di casa nostra è oggi al centro dell’attenzione per via dei 50 anni che compie la più seguita trasmissione radiofonica «Tutto il calcio minuto per minuto». Esattamente il 10 gennaio del 1965 andò in onda la prima trasmissione. Provenzali ricorda questi cinquant’anni con molto amore e molta lucidità soprattutto. Un dato curioso è che nello staff del programma si sono sempre distinti dei genovesi.
È così Alfredo?
«È così: già nella prima trasmissione c’era Andrea Boscione, un collega di Alassio che iniziò la serie dei liguri protagonisti del programma. Quella prima trasmissione prevedeva tre soli campi collegati: uno lo copriva Nicolò Carosio, il secondo Enrico Ameri e il terzo appunto Andrea Boscione».
Altri genovesi?
«Fu la volta, dopo i primi anni, di Nico Sapio. Lui era specializzato nel nuoto, ma ha fatto anche molte partite di calcio. Sapio purtroppo morì nel disastro aereo di Brema. Un caro amico».
Fu poi la volta di... Alfredo Provenzali...
«Infatti, era il 1965, da allora non mi tolsero più. Sono 45 anni che sto al mio posto. Era l’epoca dei grandi radiocronisti: da Ameri a Ciotti, a Bortoluzzi».
Già, anche Bortoluzzi era di casa nostra...
«In verità Roberto era napoletano. Poi venne spostato a Milano, perché il padre, ingegnere, aveva costruito il palazzo della Rai in corso Sempione. Ma lui, Roberto, amava il mare e si era trasferito a Nervi, aveva comprato una bella casa e si sentiva genovese a tutti gli effetti».
Altri genovesi?
«Fecero molte trasmissioni anche Cesare Viazzi, anche Sandro Baldoni che per alcuni anni ha diretto la sede genovese della Rai. E anche oggi non mancano nostri colleghi, da Emanuele Dotto a Mazzeo...».
Raccontami dei grandi di allora, di Ameri, di Ciotti...
«Intanto non c’era alcuna rivalità fra di loro. Il gruppo sportivo era molto compatto, orgoglioso di condurre un programma di tale diffusione. Ameri era un vero cronista, agguerrito e irruente. Mentre Ciotti era più un cesellatore, ma sapeva di calcio come pochi, lo aveva giocato. Era anche un appassionato di musica, non mancava mai al Festival di Sanremo».
Perché questa rubrica ha avuto tanto successo?
«Intanto perché il calcio è sempre stato un momento trainante, poi credo perché la professionalità di tutti ha giocato un ruolo decisivo».
Oggi chi fa la radiocronaca è diverso dai tuoi tempi?
«È diverso il calcio, l’ambiente».
Da voi mai un urlo...
«Ho ascoltato il “campioni del mondo” di Pizzul nell’82 e quello di Caressa nel 2006... posso dirtelo: un abisso!!!».
La televisione ha, in parte, condizionato la radio?
«Non credo proprio. Io sono innamorato del microfono e dello studio e non ho mai pensato di fare televisione.

Dopo 45 anni vorrei chiudeere, ma la nostra generazione evidentemente piace ancora».
Ti commuovi alle celebrazioni?
«Un po’ sì, ma soprattutto quando sento la sigla d’apertura... non è stata mai cambiata, da cinquant’anni... Un po’ di nostalgia me la concederai».

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