I monasteri sono "madeleine della fede", profumano d'infinito

In Italia - ma, credo, anche in molti altri Paesi d’Europa - gli antichi monasteri sono oggetto di visite da parte di turisti e villeggianti. Spesso custodiscono tesori d’arte, ma di solito non è per questo che attirano tante persone. Arrivano generalmente a gruppi, perlopiù per nuclei familiari, con bambini e qualche immancabile anziano, e anche se alla fine la visita si ridurrà a una merenda nei prati vicini o a una rapida occhiata all’erboristeria-bottiglieria con vini, tisane, marmellate e varietà di miele, non è infrequente leggere negli occhi di questi avventizi un lampo di felicità: che pace, come si sta bene qui.

C’è sempre nel gruppo qualcuno che obietta che «una vita simile sarebbe inimmaginabile al giorno d’oggi», ma anche chi dice così non può negare di provare un grande fascino.

E allora eccoli lì, tutti a godere di quella pace, di quella serenità, di quell’aria buona di cui in fondo non sanno nulla se non che c’è: pecore senza pastore, per usare l’immagine evangelica, che così, spontaneamente, si avvicinano a un luogo quasi col presentimento che lì un pastore c’è, o comunque c’è stato: e c’è stato a tal punto che ancora se ne sente, per così dire, il profumo.

A nessuno viene in mente, come prima reazione, di dire «io non sono fatto per una vita così», anche se tutti sanno che si è trattato e continua a trattarsi di una vita assai dura. La prima reazione è, viceversa, quella dell’attrazione, come se in quel modo di vivere ci fosse qualcosa di essenziale per noi, qui, ora, così come siamo.

Nel bellissimo libretto Stare dove Egli è del teologo catanese Francesco Ventorino (Marietti 1820, pagg. 224, euro 12) una comunità monastica benedettina antepone alle parole dell’autore un saggio dal titolo La vita monastica nella Chiesa. Questo saggio comincia così: «La vita monastica non è un metodo particolare per seguire Cristo, ma nel corpo della Chiesa essa è un segno paradigmatico di quella dedizione totale a Lui che è propria di ogni battezzato».

Io non so se tutti coloro che visitano i monasteri e ne subiscono il fascino abbiano ricevuto il battesimo. So però che la frase citata coglie il senso profondo di questa attrattiva che per i più non ha nome e si riduce a un sentimento. Il battesimo non è infatti la tessera per entrare a far parte di un’associazione: è il segno dell’appartenenza di noi uomini (anche i non battezzati) a Chi ci fa.

Non uno stile di vita particolare, ma la nostalgia per un bene che ci appartiene come il più importante dei

diritti. Molti hanno (o pensano di avere) perduto questo bene, altri non l’hanno mai conosciuto. Il fascino dei monasteri ci dice però che esso non è perduto, e che il suo cuore continua a pulsare al centro dell’essere.

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