Roma - Orgogliosi di averli conosciuti, ma
anche arrabbiati per non poter essere accanto ai loro colleghi
in Afghanistan per dare una mano e onorare così nel migliore
dei modi la morte dei loro amici. Così i parà della Folgore
hanno ricordato i sei caduti nell’attentato di Kabul. Per tutta
la cerimonia gli uomini con il basco rosso hanno formato una
sorta di cordone protettivo attorno ai loro compagni per poi
portare a spalla le bare fuori dalla basilica di San Paolo. "Il
mio cuore è rimasto in Afghanistan, vorrei essere ancora lì a
dare una mano - dice il sergente maggiore Gianluca Spina, del
186esimo Reggimento di Siena, rientrato dopo quattro mesi di
missione - certo, in Afghanistan c’è una situazione difficile
ma noi siamo preparati anche se attentati come quello di
giovedì non si possono prevedere".
Nessuno pensa di mollare "Sono orgoglioso di aver
conosciuto Antonio e Matteo, Roberto e Massimiliano, Davide e
Giandomenico - dice ancora - sono colleghi e amici e solo chi è
paracadutista può capire il dolore che proviamo". È
l’orgoglio però a prevalere tra i parà. "Il nostro lavoro è
piano di sacrifici ma anche di soddisfazioni - sottolinea il
sergente maggiore - per noi è un onore quando l’Italia ci
chiama e ci chiede di portare in quei posti la nostra
bandiera".
Nessuno di loro sa che andrà a fare una passeggiata, però. "Conosciamo i rischi - spiega il tenente Stefano Cozzella,
anche lui del 186ø amico intimo del capitano Antonio Fortunato -
non siamo degli sciocchi e non andiamo a fare una gita. Siamo
lì per fare quello che sappiamo fare". Di Antonio Fortunato,
il tenente Cozzella dice che "era un ragazzo che aveva una fame
di conoscenza enorme e insieme abbiamo fatto servizio nella
stessa Compagnia". Il tenente si sente però in colpa, poteva
essere lui al posto di Fortunato. "Ci siamo avvicendati alla
guida dello stesso plotone - racconta - e lui è morto. Ciò mi
lascerà per sempre un certo senso di colpa".
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