I piccoli, grandi capolavori degli ultimi giorni di Francisco Goya

Alla Frick Collection le stupefacenti testimonianze dell’attività pittorica dell’artista poco prima della morte

I piccoli, grandi capolavori degli ultimi giorni di Francisco Goya

Spagna, 1824. Il settantottenne pittore di corte Francisco José de Goya y Lucientes sordo, vecchio e debole chiede al re Ferdinando VII un lasciapassare per «passare le acque» a Plombières, in Francia. Raggiunge invece la grande comunità di espatriati spagnoli a Bordeaux e di lì si reca a Parigi. Esplora la città e sicuramente vede i lavori di Ingres e Delacroix. Torna a Bordeaux in settembre, ultima tappa: si spegnerà nel 1828. Nonostante la salute malferma Goya produce molto in questi ultimi anni: ritratti ad olio, disegni a carboncino, litografie e sorprendenti improvvisazioni su piccolissime tavolette d’avorio. Proprio un lavoro del 1824, il luminoso ritratto di Maria Martinez de Puga, é il punto di partenza per un’incantevole mostra alla Frick Collection di New York, aperta fino al 14 maggio. Il magnate Henry Clay Frick, grande collezionista, l’aveva acquistato nel 1914 e aggiunto alla sua collezione nel palazzo sulla Quinta Strada, dove ancora oggi si ha la possibilità di ammirarla.
I ritratti sono sempre stati al centro della produzione di Goya che, alla corte spagnola, aveva servito sotto tre re Borboni: Carlo III, Carlo IV, Ferdinando VII e il fratello di Napoleone Giuseppe Bonaparte, durante l’occupazione francese dal 1808 al 1813. Ma non sono solo le brillanti immagini dei suoi reali padroni a lasciare il marchio dell’epoca, sono anche i ritratti intimi e informali degli amici e della famiglia. Nei suoi ultimi anni Goya utilizza il ritratto come lavoro privato e di ringraziamento per chi lo aveva aiutato, i soggetti sono gli amici e i sostenitori, i dipinti quasi monocromi e diretti, niente sottrae concentrazione allo spirito di chi è ritratto. Come nell’Autoritratto con il Dottor Arrieta, in cui Goya è pallido e collassato tra le braccia del suo dottore, in un’evocazione laica di pietà, e con una scritta che non lascia dubbi: l’artista ringrazia il medico per averlo salvato dalla malattia. L’immagine della Lattaia, del 1827, è uno dei picchi espressivi raggiunti da Goya, e i toni leggeri della pittura hanno definito il lavoro come precursore degli Impressionisti.
La mostra è una sorpresa continua: le miniature su avorio, nuova sfida a cui Goya si applica proprio in quegli anni, sono squisite pitture realizzate con una tecnica di improvvisazione inventata dall’artista. Piccolissimi capolavori dai soggetti più vari in cui fantasia e memorie giocano nel nuovo formato: Donna dai vestiti che volano al vento e poi una Maja e Celestina, soggetto caro a Goya, Giuditta e Oloferne, Susanna e i due vecchi tutti rielaborati per adattarsi al mezzo. I più di 900 disegni che realizzò nella sua vita sono stati descritti come una forma di «parlare a se stesso» del pittore e fanno parte del corpo fondamentale del lavoro di Goya; sono forse anche un sistema per intrattenere gli amici.

Negli «Album di Bordeaux», utilizza per questa forma di diario il pastello nero, un mezzo che gli permette di compensare la perdita di manualità. Satira e ironia si rincorrono nelle due dozzine di disegni che testimoniano come fino alla fine in Goya non siano mai diminuiti le fantastiche capacità di osservazione e il potere di rappresentazione.

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