I poteri forti tramano: la trappola dei banchieri per far fuori Berlusconi

Fini vuole Maroni premier. Intanto Prodi tesse nell'ombra e i grandi poteri ammiccano, perpetuando un conflitto di interessi grande come una casa

I poteri forti tramano: la trappola dei banchieri per far fuori Berlusconi

Pur di vendicarsi, e liberarsi, di Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini ha detto che sarebbe disposto a digerire un governo a trazione leghista, guidato da Roberto Maroni. E dire che è passato meno di un anno da quando lo stesso indicò nell'eccessivo peso della Lega nella maggioranza uno dei motivi della sua scissione dal Pdl. Non c'è da stupirsi, la coerenza non è mai stato il punto forte del presidente della Camera. Ne sorprende che Maroni l'abbia mandato a quel paese, liquidando la proposta in pochi minuti come irricevibile, una stramberia estiva di un uomo ormai senza autorevolezza e credibilità in cerca solo di visibilità mediatica.

Più seria invece, o almeno più inquietante, un'altra ipotesi nata negli utili giorni per scalzare Berlusconi. La racconta sulla Stampa di ieri Fabio Martini, che ha ricostruito il contenuto di un incontro avvenuto lunedì scorso in uno dei templi della finanza milanese, la storica Ca’ de Sass, oggi quartier generale di Banca Intesa. Il cui vertice, Giovanni Bazoli e Corrado Passera si è intrattenuto con Romano Prodi, Carlo De Benedetti e Mario Monti (economista, presidente della Bocconi e per due volte ministro europeo) a disegnare un possibile dopo Berlusconi, dove il dopo, nelle speranze dei convenuti, è ormai dietro l'angolo, certamente prima della fine naturale della legislatura.

Al riparo dei riflettori, insomma, Prodi tesse e i grandi poteri ammiccano, perpetuando un conflitto di interessi grande come una casa, in confronto al quale quello di Berlusconi appare piccola cosa. Grandi banche, il giornale partito (La Repubblica) e la sinistra che conta starebbero cercando di spingere, secondo la ricostruzione della Stampa, per un governo d'emergenza guidato da Mario Monti.
Bruciato Tremonti dalle note vicende giudiziarie che hanno inguaiato il suo braccio destro Marco Milanese (e sfiorato lui stesso), i salotti buoni della finanza per tentare la spallata cambiano piano e cavallo.

Sul tavolo viene calato il jolly di sempre, Mario Monti appunto, l'uomo buono per tutte le stagioni. Il suo nome infatti ritorna da quindici anni ogni volta che la politica si impantana e dà l'impressione di abdicare, come è successo con il voto della Camera che ha autorizzato l'arresto del deputato Papa.
In realtà in tutto questo non c'è nulla di nuovo. Una volta erano Giovanni Agnelli ed Enrico Cuccia (potente capo di Mediobanca) a condizionare e a indirizzare la politica usando banche e giornali a braccetto con il partito comunista. Una affascinazione reciproca, quella tra sinistra e capitale, innaturale quanto efficace. La maggior parte dei disastri di questo Paese è nata proprio dalla mamma di tutti gli inciuci camuffati da dialogo tra le parti sociali. Tra i colloqui che avvenivano nello studio di Bisignani (il faccendiere accusato di voler alterare il corso naturale della politica per interessi personali) e quello avvenuto lunedì tra Bazoli, Prodi e De Benedetti, non c'è grande differenza se non che Bisignani, guarda caso, è agli arresti. Anzi.

Sinistra e finanza sono una P2 permanente, con una licenza di impunità che, per esempio, è stata negata a Cesare Geronzi, banchiere finito nel tritacarne giudiziario proprio perché non allineato all'andazzo. E comunque meglio un governo in mano a Scilipoti che ai banchieri. Chiunque abbia un conto corrente, cioè noi tutti, ne sa qualcosa.

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