I predicatori del Bene

Nel polverone mediatico di questi giorni, nel quale si mescolano cose vere (sprechi di denaro pubblico), cose virtuali (presunte discese in campo di questo o di quello) e cose ridicole (il governo dei «migliori» scelti, casomai, dalla Goldman Sachs) quel che appare certo è la crisi del sistema politico italiano. Una questione maledettamente seria, che va discussa con altrettanta serietà e compostezza. Per farlo c’è bisogno, però, che ciascuno, intervenendo nel dibattito, spieghi chi è, cosa rappresenta e cosa fa nella vita, avendo tutti, naturalmente, titolo a interloquire.
Per serietà personale chiarisco subito che da quindici anni io rappresento il Male. Senza il Male, come è noto, il Bene avrebbe un problema di identità. In questi anni, peraltro, più passava il tempo più ero convinto di dover rappresentare il Male, vista la sleale concorrenza del Bene, che faceva molto spesso più male del Male. Detto questo, è dal 1994 che da queste colonne parlo della crisi della politica nella Seconda Repubblica avvertendo, quasi ossessivamente, il rischio dell’implosione di un sistema fasullo che si avviava rapidamente al suo big-bang. Rappresentando il Male, probabilmente, per me era più facile vedere il male e inutilmente avvertivo il mio contraltare, quel Bene che impazziva sui grandi giornali e nelle istituzioni. Non fu il Bene nei primi anni Novanta a sostenere che i partiti erano i covi del malaffare e, in quanto tali, andavano spazzati via lasciando il governo del Paese ai tecnici e a quella entità virtuale battezzata società civile? Arrivarono così i tecnici, da Ciampi a Prodi, da Tremonti a Dini, per finire a Monti, tanto per citare i più autorevoli, ma il panorama politico peggiorava. E non fu lo stesso Bene a dire che le grandi culture politiche erano vecchi arnesi da riporre in soffitta lasciando il campo a un «nuovismo» fatto esclusivamente di programma? Così fu, ma il panorama continuava a peggiore. E ancora, non fu quel Bene che spiegò che il futuro dell’Italia doveva essere affidato a un sistema leaderistico e a vocazione proprietaria, lasciando da parte vecchie pratiche democratiche dei grandi partiti di massa e alimentando la personalizzazione del potere? E così fu, e quasi tutti si adeguarono, piccoli e grandi, al centro come in periferia, ma il quadro peggiorava giorno dopo giorno in un delirio di frantumazioni dove un solo partito, Forza Italia, superava abbondantemente il 20 per cento. E continuando, non fu sempre quel Bene che spiegò come il sistema uninominale maggioritario avvicinava l’eletto all’elettore quando, invece, dal ’94 in poi il 25 per cento dei parlamentari era eletto in liste bloccate e il restante 75 per cento in collegi il cui risultato era per almeno i due terzi prevedibile? Il che voleva dire che potevi essere Giulio Cesare, ma se ti davano un collegio a maggioranza contraria non saresti stato mai eletto, mentre potevi essere politicamente impreparato, andavi al Mugello e diventavi parlamentare. E non fu sempre lo stesso Bene a spiegare che il voto di preferenza era inquinante e inquinato? E a cantare le lodi di un bipolarismo elettorale con alleanze fatte fuori dal Parlamento? Il risultato fu che la selezione darwiniana della classe dirigente operata dall’elettore venne sostituita dalla cooptazione e dalla cortigianeria, mentre al Parlamento veniva negato ogni ruolo politico. E ancora, non fu il Bene a sostenere quel sistema presidenziale nei Comuni, nelle Province e nelle Regioni dove ogni sindaco, ogni governatore è diventato un partito a sé, autoreferenziale e privo di controllo anche da parte delle rispettive assemblee che ormai non hanno alcun potere? Quel sistema in quindici anni ha moltiplicato le spese e gli sperperi, come hanno dimostrato tante inchieste giornalistiche, da quelle di Mario Giordano a quelle ultime di Rizzo e Stella.
In altra occasione parleremo anche dei veri o presunti privilegi dei parlamentari in un quadro comparativo documentato, ma quel che mi preme sottolineare oggi è il male prodotto dal Bene in questi quindici anni. E se il Bene e i suoi corifei non dovessero riconoscere questi errori, spiegassero allora in maniera argomentata qual è a loro giudizio la radice della crisi politica attuale. La verità è che, piaccia o no, l’alternativa alla democrazia dei partiti è il governo delle lobby e delle élite. È anche vero, però, che i partiti, per essere degni di questo nome, devono avere, come in tutta Europa, una cultura politica di riferimento e una vita interna democratica per consentire al merito e al valore personale di imporsi, come tutti dichiarano peraltro di volere.


Mai come oggi il superamento della crisi della politica è nelle mani della stessa politica, a condizione che sappia trovare il coraggio di rompere il suo codardo silenzio e sbugiardare, con i fatti, i tanti scribi e farisei che, predicando il Bene, appaiono come gli evangelici sepolcri imbiancati, belli di fuori e marci di dentro.
Paolo Cirino Pomicino

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