La squadra c'è, si allena, l'età è quella giusta: intorno ai dieci anni. Il campetto è quello: nel cuore del quartiere Ortica. Non si può sbagliare, perché i libri per ragazzi della serie «Gol!», firmati dal giornalista milanese della Gazzetta dello Sport Luigi Garlando - un caso editoriale singolare quanto significativo anche sotto il profilo commerciale, 750mila copie vendute per 17 titoli tradotti in una decina di Paesi, l'ultimo, Bentornato Mister! (Battello a Vapore, Piemme) appena arrivato in libreria - lo descrivono nel dettaglio. E' quello il rettangolo dove giocano, sudano, sperano, ridono e soffrono i «magnifici otto», tra cui Tommi l'attaccante, il portiere detto Spillo a dispetto dell'esser «fuori forma», le gemelle in difesa Sara e Lara e il loro allenatore Gaston Champignon, ex compagno di squadra di Platini e proprietario del ristorante «Petali in pentola», dove prepara solo piatti a base di fiori. Insomma, la squadra milanese delle «Cipolline», che tra centinaia di migliaia di piccoli lettori in tutta Italia è diventata famosa almeno quanto Milan e Inter, dovrebbe essere qui.
Non si può sbagliare, anche perché questo è un luogo storico per Milano, che ha fatto conoscere la città in tutto il mondo giovanile: qui erano ospitati, dal 1932, i Martinitt, gli orfani abbandonati. In campo però, anzi in campetto, non ci sono i personaggi di fantasia creati da Garlando, ma quelli dell'Associazione Sportiva Dilettantistica «Giovanni XXIII», una delle realtà che da quarant'anni tengono viva la Milano dell'avviamento al calcio, la «Milano dei campetti», legata tradizionalmente agli oratori. Ma allora le Cipolline dove sono? Lo chiediamo a Garlando.
«Le Cipolline sono nei libri. Qui ci giocano i ragazzi veri, così come ci giocavo io più di trent'anni fa. Ho sempre giocato a pallone, fin da piccolino, e mi allenavo proprio all'oratorio dell'ex Istituto dei Martinitt, tra Linate e il parco Forlanini; insomma, una Milano di periferia, quella dei “campetti“, come si era soliti chiamarli».
Ma la Milano dei campetti esiste ancora?
«Certo che esiste, anche se se ne parla poco. A me piace ancora andarli a vedere, i ragazzi che giocano, e nei sabati di riposo, quando riesco, seguo il calcio giovanile».
Che cosa è cambiato?
«Lo spirito è un po' diverso. A volte i campetti finiscono in cronaca, perché i genitori si picchiano e i ragazzi si rifiutano di continuare a giocare. L'idea dei libri nasce per questo, per contrastare gli esempi negativi di allenatori esasperati e mamme che sembrano scaricatori di porto: raccontare una squadra dove possano giocare tutti, anche i più cicciotti, le bambine, chi porta gli occhiali, dove si favorisca l'integrazione e si dia esempio di fair play sportivo: divertimento e amicizia vengono prima di risultato ed esasperazione».
Quando giocava lei all'oratorio dell'Ortica che clima c'era?
«Era periferia difficile anche allora, perchè la periferia, comunque, resta tale; quella del glorioso Martinitt, tra l'Innocenti, via Corelli, via Rubattino, via Padova: vicino, i problemi erano gli stessi. Ma in quei campetti a cinque o a sette di allora, in terra battuta, dove l’erba era un miraggio e dove si stava tutto il pomeriggio, dopo la scuola, c'era meno aspirazione al successo, all'allevare il campione per forza».
Ma anche adesso si cercano campioni nei campetti...
«Adesso, che l'istituto dell'oratorio ha un po' perso di popolarità, i campioni si allevano nelle scuole delle grandi squadre. Si girano i campetti in sintetica per selezionare i migliori a livello fisico, i più grossi. Il calcio lo impareranno dopo».
Tutto il contrario di quel che accade nei suoi libri...
«Il motto delle Cipolline è "Chi si diverte non perde mai". Il calcio giovanile allena anche tifosi virtuosi, non solo bravi giocatori. Per molti bambini questo è il primo libro che prendono in mano e non si schiodano dal divano finché non l'hanno finito. Mancava una serie sul calcio, ma spesso gli autori per ragazzi sono donne...».
È vero che l'oratorio dell'Ortica è diventato meta di «pellegrinaggi sportivi»?
«Il parroco si è deciso a telefonarmi quando il numero dei visitatori ha cominciato a crescere, sono andato a trovarlo e mi ha raccontato.
Ma una squadra vera non è in progetto?
«Se si facesse, tutti quelli che lo chiedono avrebbero diritto a giocare. Mi sembra impossibile».
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