da Lignano Sabbiadoro (Udine)
Il volto dellIslam di seconda generazione: ragazzi e ragazze fra i sedici e i trentanni devotissimi alla parola di Allah, molti nati in Italia, tutti cresciuti nel Belpaese, assolutamente praticanti e convinti che lIslam racchiude lunica verità e che solo attraverso di esso si può sperare nella salvezza e nel Paradiso.
Si dicono integrati i 300 giovani seguaci di Allah che si sono ritrovati per il secondo meeting della Gioventù musulmana dItalia (Gmi) a Lignano Sabbiadoro ospiti della Getur, struttura della chiesa cattolica friulana che per la terza volta, dopo la premiere del 2004 e il meeting regionale lombardo del 2005, ha aperto le porte al popolo islamico per una quattro giorni di incontri, riflessioni, sermoni e interventi dei vertici dellAlleanza islamica dItalia e dellAssociazione nazionale donne musulmane per la libertà del velo.
Sono scandite dai ritmi della preghiera le giornate dedicate a come vivere nella quotidianità la fede tradizionale. Indossano scarpe da ginnastica e jeans, alcuni sembrano italianissimi, altri, per i tratti somatici e il colore della pelle, palesano chiaramente la loro origine mediorientale. Tutti si descrivono totalmente integrati e assolutamente paladini della parità fra uomo e donna.
Eppure entrando (i giornalisti sono ammessi sotto la rigorosa scorta di unorganizzatrice, Sara, pronta a richiamare alle regole: si può parlare solo con chi viene indicato) nella stanza in cui limam di Massa Carrara, Josef Sbai, da trentanni in Italia, sta tenendo la conferenza sui doveri del bravo giovane musulmano, si nota immediatamente la separazione fra i sessi: da una parte le ragazze, dallaltra i maschi. Stesso copione anche durante la mensa, dove di tavoli misti non ce nè nemmeno uno, e negli spazi adibiti, con tappeti al seguito, alla preghiera verso la Mecca: uomini da una parte, donne dallaltra. E le ragazze, è ovvio, tutte con il velo, lhijab, che è uno dei temi di cui i ragazzi che partecipano allincontro accettano di parlare, mentre lAdmi ha da poco consegnato nelle mani del ministro per le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, un documento per chiedere la totale libertà di portare il velo. Le ragazze sono orgogliose di dirsi sottomesse ad Allah. «Allinizio non ero molto convinta di indossare lhjiab, mi ha spinto mio padre, poi però, mi sono convinta da sola», racconta Wesam Elmusseny, 21 anni, originaria dellEgitto, residente a Roma. «LIslam non dice che la donna è sottomessa, il velo lo mettiamo perché è una prescrizione del Corano», dice la tunisina Tasnim Al Saghir, diciannovenne di Novara. «A me interessa poco se un italiano mi guarda male perché porto il velo...», afferma Selma Grevati, di Milano. «LIslam dà tutti i diritti alla donna che è tenuta a studiare e a lavorare», precisa precisa Sara Amzil, del Marocco, residente a Milano. Quanto poi allannosa querelle sul crocifisso, il responsabile della sezione milanese della Gmi, Ahmed Abdel Aziz, 22 anni, dallEgitto scandisce: «Dal momento che non rappresenta lItalia e lEuropa, per me può restare dovè».
Parole di orgoglio e appartenenza che riecheggiano nella predica dellimam. Che cosa deve fare un bravo musulmano? «Essere fiero della propria religione e fare la dawa», esortava il religioso, cioè saper invitare allIslam in diversi modi a seconda della persona che ci si trova di fronte. In Occidente si chiama proselitismo. Limam, del resto, è convinto che lIslam possa mostrare anche la via per «risollevare la scuola italiana ormai in declino».
Un appello che rende fieri i ragazzi, tutti assolutamente convinti che la loro sia lunica verità, «Del resto, anche voi cattolici siete convinti di avere ragione, no?», diceva uno studente di Reggio Emilia. Nei discorsi ufficiali dei dirigenti delle associazioni invece si ripete in continuazione la disponibilità al dialogo.
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