Lo scettro di primo della classe non glielo «ruba» nessuno. Anche se lui, che della riservatezza ha fatto la sua carta vincente, ci tiene poco o nulla a conservare questo titolo, conquistato sul campo, con anni e anni di onorata carriera. Ora Nando Tavella, il re dei maggiordomi dItalia, si gode il meritato riposo nel «buen retiro» romano in una lussuosa abitazione nelle vicinanze di via Mattia Battistini. Ma di tanto in tanto non disdegna qualche ricevimento a cui la nobiltà capitolina lo invita per il suo savoir faire nel servire a tavola.
La Capitale lha accolto dalla natia Reggiolo, paesino alle porte di Reggio Emilia che ha dato i natali anche a un altro romano adottivo, Carlo Ancelotti, agli albori degli anni Sessanta, quando incominciavano a delinearsi i tratti della Dolce Vita. E Nando, partito in compagnia di una semplice valigia di cartone, ha assaporato mano a mano tutti i migliori salotti romani. «Ho iniziato come cameriere alletà di 17 anni. Sono poi diventato maggiordomo sul campo, imparando dai preziosi insegnamenti delle signore della nobiltà. Ma guai a sbagliare! Erano dolori...», ci racconta accogliendoci nella sua dimora.
Dura la vita dei maestri di cerimonie, soprattutto a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta. «I signori erano severissimi, non si poteva uscire la sera, non davano le chiavi». Però, la scuola e la formazione erano con i fiocchi. Nessun paragone con la generazione del Duemila, peraltro quasi in via di estinzione, che di pecche, a detta di Tavella, ne ha da vendere: «Oggi non si serve più come una volta, manca la giusta passione per il proprio lavoro. Le posate e il cibo non devono per esempio essere mai portati allimprovviso, è necessario sempre avvisare prima. E poi non scordarsi mai della discrezione». «Un maggiordomo deve saper fare un po di tutto - aggiunge - La prima cosa al mattino è la preparazione del bagno e poi sistemare i vestiti».
Poche regole ma rigorose. Che Tavella, una vita in frac, ha imparato alla svelta. È per questo che è stato ed è ancora tra i più apprezzati cerimonieri di corte. «A Palazzo Farnese conobbi la famiglia reale dInghilterra. La regina Elisabetta fu fredda da morire e mi mise molto in imbarazzo, con Lady Diana invece mi trovai immediatamente a mio agio, era come se ci fossimo sempre conosciuti. Ricordo che in quelloccasione il principe Filippo, uomo molto affabile, chiese ai cento camerieri presenti una birra ma nessuno riuscì a portargliela». Qualche altro piccolo segreto il re dei maggiordomi ce lo svela. Come quella volta che il compianto Albertone Sordi gli rifilò una lauta mancia, contravvenendo alla sua fama di avaro. O quando la sua amica Marta Marzotto si offese perché la valigia, a suo dire, non era stata preparata con tutti i crismi. Tra i palazzi frequentati da Tavella non poteva mancare il Quirinale: «Servii un pranzo allepoca del presidente Gronchi. Trovai sua moglie bellissima, vestiva divinamente. Pur se molto criticata, mi sembrava una gran signora».
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