Peck è Peck dal 1883, ma nel 1918, al salumiere arrivato da Praga sarebbe subentrato Eliseo Magnaghi, che nel 1956 avrebbe ceduto lattività alla famiglia Grazioli che a sua volta fece altrettanto con gli Stoppani nel 1970. Gli Stoppani perché in via Spadari brillano due distinte generazioni. Ecco Angelo, cavaliere del lavoro, classe 1937, e i suoi tre fratelli, Mario (1939), Remo (1942) e Lino (1952). Quindi Mauro, figlio di Angelo, e i tre figli di Mario, Andrea, Stefano e Paolo, tutti attorno ai quarantanni e tutti loro con figli troppo baby per coinvolgerli nel tran tran quotidiano. Rimarca però Paolo: «Sotto Natale le braccia non bastano mai, così a dodici anni venivamo reclutati per portare i vassoi dalle cucine ai banconi. A me toccava linsalata russa, pesava una dozzina di chili e bastava una distrazione minima perché ti scappasse di mano. Era dura, ma era anche una bella scuola di vita». Tanto sudore e poca bambagia.
Angelo, presidente di una ditta che impiega 140 addetti, dei quali una trentina tra cuochi e pasticcieri, ha una passionaccia per carne e salumi, Mario per i vini e i cosiddetti prodotti a marchio, Remo per i formaggi, Lino è lamministratore, si ricorda ogni fattura e non cè verso di prenderlo in castagna. Capita che uno butti una frase del tipo «ho sentito lazienda Pinco, dicono che nel 1998...?». «No, era il gennaio 1999 e ordinarono questo, questo e questaltro». Ed è vero, sempre.
Peck non ha un punto di forza, bensì due: uno è la determinazione e la compattezza degli Stoppani, otto tutti in prima linea, nove con Lidia, la moglie di Lino, alla cassa dallapertura alla chiusura. Laltro sono le dimensioni. Chi entra nel negozio, può fare la migliore spesa della sua vita in 1.500 metri quadri suddivisi su tre piani: sotto lenoteca; a livello strada i reparti carne, piatti pronti (antipasti, primi, secondi di pesce e di carne), frutta e verdura, salumi, formaggi, pane, gelati e dolci; sopra caffetteria, the e caffè sfusi, qualcosa come 180 varietà di the e 50 di caffè. Manca solo il pesce fresco.
Poi però vi sono altri 3.500 metri chiusi al pubblico dove tutto viene preparato, stoccato, accudito, servito come fosse la caverna del tesoro di Alì Babà. Le cucine non sfuggono allocchio di chi si ferma davanti a prosciutti, salami e delicatezze dai mille profumi. Si estendono subito oltre il banco del centralino, isole composte da fuochi, forni e fornelli, piani di lavoro lucidi come specchi, tortiere, pentole e pentoloni, padelle e casseruole, mestoli e ramaioli, piatti, zuppiere e lastre in acciaio, tutto quello che ci deve essere in una cucina che sforna centinaia di pietanze. Un dato rende bene lidea dello sforzo dei cuochi: sabato scorso il banco gastronomia offriva qualcosa come 108 referenze diverse, cento e otto! Ci sono piatti che non conoscono le stagioni: le lasagne, la pasta e fagioli, il minestrone, la trippa, il pollo arrosto, il riso alla marinara ci sono sempre.
E se gli uffici sono al primo piano, nei sotterranei non vi sono solo le celle frigorifere (quella del mascarpone è da fiaba). Peck si estende sotto lintero isolato compreso tra via Spadari, Torino, Santa Maria Beltrade e lAmbrosiana, un formidabile laboratorio dove si producono i salumi, in pratica tutti esclusi i prosciutti, le torte di formaggio e lautentico mascarpone che non è un formaggio anche se passa per tale. È in pratica latte pannoso fatto sobbollire con aggiunta di solo acido citrico fino a ottenere una crema del paradiso. Peck ne produce 18 tonnellate e mezza ogni anno così come tremila bresaole (di bovino tedesco, non sudamericano come in Valtellina), otto tipi diversi di salsicce fresche, i prodotti a marchio sono un migliaio, le bottiglie di vino centomila (e le etichette 3mila), le forme di parmigiano vendute 2mila (e di prosciutto crudo, sette tipologie, anche).
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