I tagli alla felicità

Romano Prodi aveva promesso di «organizzare la felicità» e oggi si ritrova a fare i conti con la mattanza di Napoli che non è soltanto un romanzo criminale, ma anche una tragedia politica che si compie ora, in un presente assoluto, in una città-mito. La tragedia napoletana alimenta l’inquietudine di chi vive nelle metropoli, è la punta dell’iceberg di un problema sentito in profondità dai cittadini, maldestramente maneggiato e sottovalutato dal centrosinistra: la sicurezza. Basta dare un’occhiata al lavoro parlamentare del governo Prodi per rendersi conto di quanto sia refrattario il centrosinistra al principio del law and order. Uno dei provvedimenti principali dell’esecutivo è stato l’indulto. La scarcerazione di migliaia di criminali grandi e piccoli non è stata un bel segnale. L’approssimazione e la fretta hanno giocato un ruolo decisivo e devastante per l’immagine (e la sostanza) del governo. Gran parte dei cittadini ha letto quella mossa come una resa dello Stato e la cronaca purtroppo sta dimostrando che la criminalità ne ha preso atto e nelle metropoli dove è più facile trovare coperture e sfuggire ai controlli si è fatta più spavalda. Se lo Stato rinuncia al principio della certezza della pena, se apre le celle e l’espiazione della condanna diventa un’opinione, di fatto incentiva la criminalità ad occupare tutti gli spazi possibili della società. Perché il prezzo da pagare, alla fine, non sarà mai troppo alto rispetto ai guadagni di organizzazioni criminali come la camorra o la mafia.
I partiti della sinistra non ignorano gli effetti collaterali dell’indulto sull’opinione pubblica. Hanno sondaggi chiari e allarmanti, sono consapevoli di aver compiuto un errore macroscopico, ma non si tratta solo di un problema di comunicazione - come pensa un pur abile spin doctor come Silvio Sircana - è di più, molto di più. Siamo di fronte a un problema culturale della coalizione che governa.
Prendiamo, per esempio, la reazione dei partiti della maggioranza al drammatico problema di Napoli, usciamo dalla retorica e guardiamo i fatti: il ministro della Giustizia Clemente Mastella non esclude l’uso dell’Esercito; Romano Prodi è sulla stessa linea; il viceministro dell’Interno Marco Minniti ha qualche dubbio, Giuliano Amato non nasconde la complessità del problema, Rifondazione non vuol sentire parlare di Esercito e anzi dice che «si passerebbe dalla padella alla brace» e così i Verdi e il Pdci. Ci fermiamo qui e stendiamo un velo pietoso: la linea politica su temi nei quali non dovrebbero mai esserci differenze è ondivaga perché nella maggioranza c’è una enorme frattura ideologica, una faglia che prima o poi provocherà un terremoto.
È la stessa cultura che ha prodotto nella stesura della Finanziaria tagli pesantissimi alla Difesa e alla sicurezza. Circa tre miliardi di euro in meno per un settore vitale dello Stato sono una spia rossa che segnala il problema del calo della sorveglianza. Nessuno Stato può oggi permettersi di risparmiare in quel settore, ancor di più l’Italia che ha problemi non trascurabili chiamati mafia, camorra, ’ndrangheta. Queste organizzazioni criminali dispongono di ingenti risorse finanziarie e patrimoniali che provengono da attività altamente remunerative come lo spaccio di droga e il traffico d’armi. Per sconfiggerle servono uomini, finanziamenti, tecnologia. La direzione presa dal governo Prodi invece va in linea esattamente contraria.
Soltanto la Polizia di Stato nel prossimo triennio perderà circa 12mila addetti, i problemi logistici per le forze dell’ordine - già in condizioni obiettivamente difficili - diventeranno serissimi, ma c’è chi pensa di sconfiggere il problema con la frase magica che va di moda in questi tempi ed è comoda per non dare risposte chiare: «Ci vuole più intelligence».


È il classico gioco di fumo e specchi, a noi sembra invece che ci voglia soltanto un po’ più di intelligenza. Quale Stato può mai assicurare la convivenza civile se non controlla il territorio e non assicura la certezza della pena per chi compie un crimine?

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