I tedeschi a Chiasso, stop senza morti Intanto a Dongo...

Alleanza Atlantica e Unione europea hanno eroso le sovranità nazionali degli Stati europei. Dalla fine degli anni Quaranta, anche i Paesi usciti «vincitori» dalla seconda guerra mondiale dovevano accettare imposizioni analoghe a quelle subìte dalla vinta Italia. Che invece sfruttò l’ingresso in queste coalizioni, dove inizialmente non era sempre gradita, per risalire la china nella gerarchia delle nazioni.
A quaranta chilometri da Milano comincia la Svizzera, non coinvolta militarmente dalla guerra e poi rimasta fuori dall’Alleanza Atlantica e dall’Unione europea, pagandone il prezzo nella «guerra delle banche» mossale dagli Stati Uniti e nelle sue recenti ricadute. La neutralità dovrebbe esentare dall’aver nemici: certo esenta dall’aver alleati... La neutralità dei piccoli è infatti tollerata dai grandi nelle situazioni di equilibrio internazionale, quando essi possono avvantaggiarsene; non lo è nelle situazioni di egemonia, come quella in atto dal 1989, come ha ricordato lo storico Jean-Jacques Langendorf in Neutrale contro tutti (Edizioni Settecolori).
Dalla fine della Guerra fredda, la Svizzera subisce pressioni bancarie e fiscali da parte di chi vuole ridurne la sovranità, avendo smarrito la propria. Come durante la prima e la seconda guerra mondiale, oggi la reazione svizzera è dare tempo al tempo. Intanto, per tener vivo lo spirito nazionale, è opportuno ricordare. Ricordare per esempio che l’1 agosto 1940, a Paese quasi circondato dall’Asse, ci fu il giuramento del Grütli, con il solenne impegno a difesa del territorio nazionale, che sconsigliò alla Germania l’invasione. Alla memoria per il grande gesto corrisponde ora l’evocazione di un gesto meno noto e, soprattutto in Italia, meno notato, anche se essa ne fu teatro. Infatti l’evento è stato messo in ombra dal fatto che nello stesso momento, a Dongo, venivano uccisi i capi della Rsi e Clara Petacci.
Eravamo dunque fra il 27 e 28 aprile 1945, alla frontiera di Chiasso. Un reparto di trecento militari tedeschi, proveniente da Milano e dintorni, reclamava l’internamento in Svizzera - come l’avevano ottenuto nel ’40 reparti francesi e nel ’43 reparti italiani - per non cadere prigioniero degli americani, minacciando di varcare il confine con le armi. Ora l’episodio è ricordato nella piccola ma curatissima mostra «I fatti di Chiasso», promossa dal Comune ticinese e in corso nella stessa cittadina allo Spazio Officina (fino al 2 maggio, dalle 14-18, www.chiasso1945.ch). Dopodomani, nella giornata ufficiale, presente il sindaco e il console svizzero a Milano, David Vogelsanger, sarà scoperta una targa e parlerà (ore 9.45) uno dei protagonisti, il maggiore dell’esercito americano Joseph McDivitt.
L’altro protagonista della vicenda, il colonnello dell’esercito svizzero Mario Martinoni. Fu dal loro incontro a Como il 28 aprile ’45 che venne risolta la tensione al confine: McDivitt diede infatti la parola che i militari tedeschi non sarebbero stati consegnati ai russi. E cominciò la consegna delle armi. Per Martinoni quel pomeriggio da diplomatico, più che da guerriero, finì male. Aver agito su diretto mandato del comando di Berna gli valse l’ostilità del superiore, il colonnello Constam, noto per il suo rigore: fra i due ci fu un alterco, con minacce di morte da parte di Martinoni e relativo internamento in ospedale psichiatrico. La sua carriera di comandante finì lì.
Nel Canton Ticino, la rimozione dal comando militare locale di Martinoni e la sostituzione del reparto ticinese con uno proveniente da Sciaffusa fu un’umiliazione. Anche per questo, sempre dopodomani, nell’ambito della mostra si terrà un convegno.

Martinoni è il Dreyfus svizzero? Il generale Guisan, comandante in capo durante la seconda guerra mondiale, non intervenne per lui. E i detrattori di Guisan sono diventati fautori di Martinoni... Del resto, non essendo mai stato formalmente punito o radiato, Martinoni - che è morto nel 1981 - non è mai stato formalmente riabilitato.

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