Due espulsi, un gol, centomila spettatori (97.132 per l’esattezza), nessun mortaretto, nessuno striscione, nessun bengala fumante ma soltanto un loco che ha puntato il laser su Ronaldo e Diarra, i due presidenti, La Porta e Perez, a fianco uno dell’altro, in piedi, all’inizio della partita ad ascoltare l’inno e poi, composti, corretti, tra gioie e tormenti, una stretta di mano e adios, tanta bella roba al Camp Nou. Il calcio vero è questo, normale e straordinario, per usare un aggettivo inflazionato e svilito nelle telecronache di Sky e affini.
Dopo i cugini di campagna del campionato nostrano è sembrato di assistere a uno show dei tre tenores, qualità, quantità, muscoli e cervello, dribbling e aggressività, niente isterie, Busquets (al 17’ del secondo tempo) e Lasse Diarra (all’ultimo minuto) hanno lasciato il campo per doppia ammonizione, senza urlare contro l’arbitro navarro Undiano Mallenco, giovane ma senza gel o posture esibizioniste, poche parole e molta autorità; Zlatan Ibrahimovic, entrato dopo sei minuti del secondo tempo, al posto di mano lesta Henry, riporta il Barcellona in testa alla classifica, ha segnato il gol, decisivo, storico, del «clasico» della liga, deviando di potenza un cross lungo di Dani Alves, i campioni di Spagna e d’Europa hanno regalato calcio spettacolare, ripetendo la prova offerta contro l’Inter ma, ieri, avevano di fronte un avversario ben più reattivo e pericoloso della squadra di Mourinho; Lionel Messi è stato una trottola fermata con le brutte e mai con le buone, Henry ha fatto poche cose ma velenose, Ibra è stato il killer, con quello di ieri sera è all’ottavo gol, è il capocannoniere del Barça e ripenso ai docenti di Milano e dintorni secondo i quali lo svedese non si sarebbe integrato nel gioco catalano, avrebbe incontrato difficoltà e crisi di rigetto. Bah, lasciamo perdere.
Nel Real finalmente Kakà ha inventato una delle sue magiche serate milaniste ma non ha mai trovato conforto nel pallido sodale di attacco Higuain e poi in Benzema che è in contrasto con l’allenatore; il recupero di Cristiano Ronaldo ha ridato peso e corsa al Real Madrid ma il portoghese si è sgonfiato dopo un’ora, ha sbagliato un paio di conclusioni a rete, è stato inspiegabilmente sostituito da Pellegrini quando il Barcellona era costretto a giocare in dieci uomini per l’uscita di Busquets.
Due squadre che si stanno giocando, non con le chiacchiere, il titolo di Spagna, hanno confermato i loro modi diversi di fare mercato e di allestire il gruppo, molta Catalogna nel Barca, rara Spagna nel Real, sono anche queste le chiavi di lettura dei loro comportamenti nelle partite decisive. Guardiola ha ribadito la sua ordinaria cultura calcistica, non spaccia football, chiede alla squadra velocità e, prima di tutto, qualità tecnica, va da sé che il risultato sia superiore alla media alla quale ci siamo abituati in Italia negli ultimi anni, laddove il fisico è diventato più importante del famoso «tocco di palla» scomparso da qualunque considerazione di allenatori e opinionisti. Pellegrini ha idee diverse se non opposte, la scelta di Higuain, che parla la stessa lingua dell’allenatore, al posto del francese Benzema dovrebbe far capire al presidente Perez di avere affidato una gruppo di buoni giocatori a un tecnico di categoria.
L’anno scorso proprio Florentino Perez decise di rientrare nel giro del Real dopo la disfatta al Bernabeu contro il Barça.
Ieri sera non è stata derrata clamorosa ma, pur in superiorità numerica, gli ex galattici hanno rischiato di prendere altri gol e hanno subìto l’intelligenza di gioco dei blau grana, con le prove superbe di Pujol, Iniesta, Xavi, Piquè e Busquets (fino a quando è rimasto in campo), il cuore catalano al servizio delle vedettes Messi e Ibrahimovic. Lo spettacolo continua, nella Liga, come al cinema e a teatro, si replica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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