Milano contenitore e contenuto della cucina che verrà. Milano matrioska golosa che inscatola tecniche e idee francesi, catalane, pauliste. Mondiali. Milano punto di transito di contaminazioni transcontinentali, come lo gnocco di glutine estratto come fosse seitan, una tecnica che accorcia mirabilmente la distanza tra Piacenza e Pechino. Esploratore della scorciatoia, Massimiliano Alajmo delle Calandre di Rubano a Padova. A lui lonore/onere del primo intervento di Identità Golose, congresso di cucina dautore che da ieri fino a mercoledì chiama al Milano Convention Centre di via Gattamelata un pubblico di chef e ghiotti curiosi, lì a pendere dalle labbra delle anteprime di una settantina di cuochi da tutto il globo.
Milano come incrocio di grembiuli bianchi, dunque, ma anche come fucina di ingredienti meneghini simbolo da inquadrare sotto nuova luce. Accadrà allo zafferano i cui stimmi notoriamente non si trovano a bordo Naviglio ma danno forma a un risotto-icona tra i più mangiati. Solo che Davide Oldani del DO di Cornaredo, questa mattina, lo preparerà a modo suo, versando una spirale gialla cotta a parte su un risotto alla pavese. Un affronto allortodossia, ma solo per chi non vuole vedere la cucina come successione di pregiudizi da abbattere. Che poi è lo spirito che anima Identità Golose: gettare lo sguardo oltre il proprio naso. Il naso vola lontano con lo zafferano afghano coltivato nelle piantagioni che prima ospitavano loppio: Fabio Rossi del ristorante Vite oggi lo propone con squaqquerone e pancetta, ingredienti forgiati dai ragazzi della comunità di San Patrignano che ospita la sua insegna. E poi cè lo zafferano nel liquore di Franco Chialva, un cognome legato alle colture officinali e al Fernet Branca, shot cult sotto la Madonnina. Poi, via con lo zafferano di Alicante dalla regina spagnola Maria Josè San Roman e le certezze schiuse dai pistilli del pasticcere Gian Luca Fusto e del cuoco siciliano Pietro DAgostino.
Insomma, prospettive ampie che più ampie non si può, con il capoluogo lombardo a ergersi anche come capitale anche morale/gastronomica, con le verdure non più trattate da «tappezzeria per le feste del sabato» - definizione del curatore del congresso Paolo Marchi ma come emblema decisivo di un piatto che associa gola e salute. Un messaggio veicolato ieri da Pietro Leemann, cuoco di uninsegna vegetariana, il milanese Joia, che è lunica in Europa a fregiarsi della stella Michelin. Ieri al congresso ha esibito una «non-pasta» priva di frumento «perché ne stiamo mangiando troppo». Ne va della nostra salute.
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