India, identikit di un Paese diviso in tremila caste

La più grande democrazia del mondo in marcia sulle tabelle dell’economia mondiale

All’irruzione delle masse sul palcoscenico della storia dovremmo ormai avere fatto l’abitudine, eppure ancora se ne annunciano all’orizzonte suscitando apprensione e curiosità. Che dire di quel miliardo di indiani in marcia sulle tabelle del Pil mondiale, un esercito vorace di produttori il cui peso economico sta alterando irrevocabilmente i vecchi equilibri e scardinando le rendite di posizione acquisite? Poche cose e sommarie, a meno che non si legga Gli indiani (Neri Pozza, pagg. 254, 16 euro) in cui i coniugi Sudhir e Katharina Kakar tracciano l’identikit dell’indianità andando a rovistare nel corredo nazionale di abitudini, credenze e miti. Ma, innanzitutto: esiste l’indiano come categoria astratta? Nonostante il crogiolo etnico, le divisioni religiose talvolta foriere di sangue, le quattordici lingue principali parlate nel paese, parrebbe di sì. I Kakar sostengono che la straordinaria fluidità culturale dell’India ha permesso alla più grande democrazia del mondo di integrare diversità, digerire invasioni, metabolizzare offese e distruzioni. E di informare l’altro, l’invasore, di sedurlo e tramutarlo, magari inconsciamente, in un filo-indiano. Esempio ne sia la divisione della società indiana nelle oltre tremila caste: persino le comunità cristiane del sud dell’India hanno assunto alcuni elementi castali (le figure eminenti della chiesa locale vengono definite «brahmini cattolici») e così è successo ai musulmani del nord.
Non a caso l’indiano è stato definito homo hierarchicus: la sua intera vita ruota attorno a famiglia e casta, due capisaldi che presuppongono un forte senso di subordinazione e relazione. È la classica famiglia indiana celebrata dai film di Bollywood che tiene a battesimo e allena nei primi anni di vita la propensione a ragionare in modo gerarchico: una famiglia allargata, composta da genitori e figli, zii, zie e cugine, sorvegliata da nonni affettuosi quanto autoritari. Da adulto quel bimbo conserverà la memoria profonda di un mondo autoreferenziale racchiuso nei confini della famiglia, un modello che rende praticamente nullo nell’India di oggi il conflitto generazionale. Al punto che, osservano i Kakar, «in India, per un giovane, il mezzo per realizzare i propri sogni non è la rottura, ma la persistenza dei valori tradizionali».

Di qui la longevità del sistema castale, di qui la considerazione positiva nella quale è tenuto il matrimonio combinato (pratica cui non sono estranei nemmeno gli indiani colti che vivono nelle metropoli), e la straordinaria vitalità dei sistemi spirituali che ancora si tramandano in forma orale nella vitalità di quel rapporto maestro-discepolo a cui noi occidentali non possiamo non guardare con un misto di stupore e sufficienza.

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