"È il gene dei Neanderthal...". Lo studio spiega l'epidemia Covid in Val Seriana

Secondo la ricerca dell'Istituto Mario Negri, vi è una correlazione tra la gravità delle infezioni da Coronavirus e le variazioni genetiche di una regione del Dna

 "È il gene dei Neanderthal...". Lo studio spiega l'epidemia Covid in Val Seriana
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La diffusione del Covid in Val Seriana sarebbe stata favorita dalla presenza di geni che risalgono all’uomo di Neanderthal. A rivelarlo è uno studio sulla popolazione condotto dall’Istituto Mario Negri, presentato oggi nel corso di un convegno a Palazzo Lombardia. Il progetto ha visto i ricercatori impiegati per due anni nell’analisi della relazione tra fattori genetici e la gravità della malattia nella provincia di Bergamo, epicentro della pandemia. I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista iScience, hanno dimostrato che, tra i residenti delle aree più colpite, una regione del genoma umano si associa in modo significativo al rischio di ammalarsi di Covid-19 e di contrarne una forma grave.

La cosa sensazionale è che 3 dei 6 geni che si associano a questo rischio sono arrivati alla popolazione moderna dai Neanderthal”, ha spiegato Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto di ricerca Mario Negri. Questi ominidi, strettamente correlati all’homo sapiens (l’uomo moderno) ma con corporature più basse e tozze, sono vissuti nel Paleolitico medio, tra i 200mila e i 30mila anni fa. “In particolare dal genoma di Vindija, che risale a 50mila anni fa ed è stato trovato in Croazia. Una volta forse proteggeva i Neanderthal dalle infezioni, adesso però causa un eccesso di risposta immune che non solo non ci protegge, ma ci espone a una malattia più severa”, ha affermato il dottor Remuzzi, sottolineando che le “vittime” del cromosoma di Neanderthal nel mondo sono probabilmente meno di un milione e “potrebbero essere proprio quelle che, in assenza di altre cause, muoiono per una predisposizione genetica”.

Allo studio hanno aderito 9.733 persone di Bergamo e provincia, che hanno compilato questionari sulla storia clinica della loro famiglia con riferimento al Coronavirus. Tra questi, il 92% dei contagiati si è infettato prima di maggio 2020 e in dodici hanno manifestato sintomi già alla fine del 2019, tra novembre e dicembre. All’interno di questo campione, sono state selezionate 1.200 persone, divise poi in gruppi da 400 in base alla gravità della malattia. Coloro che hanno contratto una forma più severa di Covid-19 avevano più di frequente parenti morti a causa del virus rispetto a coloro che si sono ammalati in modo lieve o che non sono stati infettati. Il dato ha quindi dimostrato un contributo della genetica alla gravità della malattia.

I campioni di dna sono stati poi analizzati tramite microarray, una tecnologia che permette di leggere centinaia di migliaia di variazioni nel genoma. Si è arrivati, quindi, all’identificazione della regione responsabile delle diverse manifestazioni della malattia. In questa specifica parte di dna, circa il 7% della popolazione italiana presenta un insieme di variazioni, detto aplotipo, riconducibile all’uomo di Neanderthal.

I risultati dello studio Origin dimostrano che chi è stato esposto al virus ed è portatore di queste varianti aveva più del doppio di del rischio di sviluppare Covid grave, quasi tre volte in più il rischio di aver bisogno di terapia intensiva e un rischio ancora maggiore di aver bisogno di ventilazione meccanica rispetto ai soggetti che non hanno questo aplotipo”, ha concluso Marina Noris, responsabile del Centro di genomica umana dell’Istituto Mario Negri.

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