Insegnare a essere romantici: Roma svela come c’è riuscita

Occhi negli occhi e labbra sulle labbra: altro che apostrofo rosa, il bacio a Roma è di marmo e colore, tra dipinti e sculture. Sono numerose, infatti, le opere che, di strada in museo, lo celebrano, consacrando all’arte il romanticismo della città, di epoca in epoca. La passeggiata tra i baci capitolini non può che partire dalla Domus di Amore e Psiche, negli scavi di Ostia Antica. L’ambiente prende il nome da un gruppo scultoreo tardo antico in marmo, qui rinvenuto e poi sostituito da una copia per questioni di conservazione, che raffigura la coppia del mito nell’atto di baciarsi appunto. Il trasporto emotivo sembra cedere spazio e attenzione al simbolismo della scena: le figure sono strette l’una all’altra in una posizione di assoluta parità, a ribadire la forza con cui il sentimento coinvolge entrambi, senza curarsi della natura umana o divina dei protagonisti. Diversa la rappresentazione che, del medesimo soggetto, si può ammirare ai musei Capitolini. La statua, copia da un originale greco del II secolo a.C., mostra Amore mentre, tenendole tra le mani il viso, bacia un’arrendevole Psiche, in un’atmosfera decisamente più sensuale, che mira a coinvolgere l’osservatore. L’istante prima di quello in cui le labbra si sfiorano sembra ritratto dal Cavalier d’Arpino sullo sfondo del Ratto delle Sabine, affrescato nell’Appartamento dei Conservatori, ai Capitolini. A ribadire l’interpretazione romantica sarebbe anche il gesto, tutt’altro che spaventato, con cui la fanciulla al centro dell’opera, più che respingere il romano che la rapisce, pare volerlo accarezzare. La passionalità si fa ancora più intensa al Complesso del Vittoriano che, tra motivi ornamentali e gruppi scultorei, nasconde un incontro a due. È Il Sacrificio, scultura di Leonardo Bistolfi, che dal gruppo di quattro figure fa emergere, con forza e determinazione, solo la vertigine, accentuata dalla tensione scultorea, del bacio tra la Libertà, rappresentata come una fanciulla china in avanti ad accogliere e proteggere l’uomo, e l’Eroe che per lei è caduto. Il motivo patriottico si «accende» così di rimandi quotidiani, in una lettura che punta l’attenzione sull’amore che è motore del sacrificio, prima che sul dolore di cui è causa. La vertigine diventa addirittura vortice, traducendo il movimento del bacio nella rotazione plastica dei corpi, tra forma e colore, nel dipinto Amanti di Carlo Levi, custodito dalla Fondazione che gli è intitolata, in via Ancona, in cui un uomo e una donna, nudi, si abbracciano in un paesaggio aperto appena accennato, che fa riferimento alla solarità dell’atto più che a quella di un concreto panorama, vedendo nell’abbraccio tra i due l’unico orizzonte concepibile. Almeno per l’istante di un bacio, appunto. Di una delicatezza disarmante è l’opera Paolo e Francesca di Ludovico Cremonini, all’Accademia nazionale di San Luca. I due, assurti a simbolo della lussuria nei gironi danteschi, sono qui colti nella vibrata ma timida emozione del primissimo sfiorarsi delle labbra, in cui Paolo sembra solo concretizzare la suggestione letteraria del libro «galeotto», senza altro pathos che quello derivato dalla lettura stessa, e Francesca gli si abbandona, come fosse nel pieno di una fantasia. Senza apparente traccia di quel «piacer sì forte» ricordato da Dante nella Divina Commedia. Non solo coppie. I baci celebrati dall’arte a Roma sono di vario tipo. È protagonista nell’assenza quello «suggerito» nel rilievo in gesso di Bertel Thorvaldsen, Priamo supplica Achille per la restituzione del corpo di Ettore, nelle collezioni dell’Accademia. Ad essere raffigurato è il momento più intenso della supplica, raccontata da Omero nell’Iliade: qui Priamo non bacia la mano di Achille perché lo ha appena fatto, tanto che la stringe ancora tra le sue. E quella «stretta» è il cuore della rappresentazione, così come il bacio della «destra fratricida» lo è nel testo omerico. È assente, ma in realtà protagonista, pure il bacio nella tela Narciso di Caravaggio, a Palazzo Barberini. La critica più recente è propensa a ritenere che Narciso non sia stato ritratto, come si pensava, nel «semplice» atto di contemplare il suo riflesso, ma nel più complesso momento, descritto da Ovidio, in cui cerca di baciarlo. Dal mito alla quotidianità. È un bacio tra bambini, dalla ricercata familiarità a contrasto con la tecnica scapigliata e all’epoca definita «bizzarra», quello de I due cugini di Tranquillo Cremona, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Sono di ispirazione religiosa e, in parte, scaramantica, quelli lasciati per devozione sul piede, ormai consumato, della Madonna del Parto di Jacopo Sansovino, nella chiesa di Sant’Agostino, che, tradizione vuole protegga le donne incinta e quante desiderino esserlo. Il tour si chiude a Lungotevere, regalando alla passeggiata un’adeguata colonna sonora.

È la canzone della tradizione romana, Pe’ lungotevere: «Lì sotto l’arberi de Lungotevere le coppie fileno, li baci scrocchieno, si nun sei pratico de regge moccoli, pe’ Lungotevere non ce passa'». Una Capitale tutta da baciare. Ad arte.

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