La nuova Lega riparte da Bergamo. E Maroni offre la tregua ai bossiani

Rinviata Pontida, Bobo cerca il rilancio alla "Bèrghem Fest", il meeting in stile Cl. Per la "pax" interna sposta la festa di Venezia a Cittadella, fortino degli avversari

La nuova Lega riparte da Bergamo. E Maroni offre la tregua ai bossiani

Appese al chiodo le corna dei vichinghi di Pontida e lasciate al Po le sue acque dal Monviso a Venezia, Roberto Maroni ha scelto Bergamo per far ripartire la «sua» Lega. Quella che non alzerà più il dito medio di bossiana mano alle altre forze politiche, cercando piuttosto il dialogo. È «dibattito», non a caso, la parola d'ordine della Bèrghem Fest che si è aperta ieri ad Alzano Lombardo e che chiuderà i battenti il 2 settembre con l'intervento del segretario dei lùmbard Matteo Salvini, unico comizio insieme all'altro, domani sera, di Umberto Bossi.

Bobo il nuovo segretario, invece, ha preferito la formula del confronto con un giornalista amico della Lega ma anche «pane al pane» come Vittorio Feltri. In quella che, spiega l'organizzatore, il consigliere regionale Roberto Pedretti, «è stata la prima festa in assoluto della Lega, 23 anni fa, ed è l'unica rimasta invariata col nuovo corso». Non a caso seconda solo, dice, al meeting di Cl a Rimini, «con la differenza che noi facciamo politica a chilometro zero, e cioè andando in mezzo alla gente, mentre gli altri devono scegliere una località balneare per attirare le persone».

Sette dibattiti in undici sere per «far ripartire il partito in vista degli Stati Generali del Nord di fine settembre al Lingotto» dice il deputato Nunziante Consiglio, che cura la parte politica. È toccato a lui l'equilibrismo degli inviti, affatto facile vista la confusione del quadro nazionale, con la Lega passata da forza di governo a forza di opposizione, con nel mezzo un traumatico cambio al vertice. «Degli altri partiti ci saranno gli esperti delle varie materie, come Vannino Chiti del Pd e Gaetano Quagliariello del Pdl sulla legge elettorale - spiega Consiglio -. Ma abbiamo deciso di non invitare i segretari: perché se, per esempio, Casini avesse accettato e Bersani o Alfano no, la nostra base avrebbe potuto darne una lettura sbagliata».

Il fatto è che, con la campagna elettorale alle porte, non è più tempo di beghe. Tanto per dirne una, al comizio di Bossi a Sommacampagna, in Veneto, subito dopo Ferragosto, era stato lo stesso Senatùr a placare i militanti che srotolavano lo striscione: «Umberto salva la “tua” Lega»: «La Lega è già salva, perché è unita» li aveva ripresi.
E per dirne un'altra, c'è il casus belli della festa dei Popoli padani di metà settembre a Venezia. Ad annunciarne il rinvio, due giorni fa, era stato il sindaco di Verona Flavio Tosi, creando non pochi malumori. Tra i bossiani, con il deputato Giacomo Chiappori a denunciare il «tentativo di cancellare la storia», avvertendo poi: «Senza Sole delle Alpi e facendo di un movimento di popolo un partito come tanti altri, la fine è vicina. Per tutti, non solo per alcuni». Ma anche fra gli stessi maroniani: «A che titolo è Tosi a fare certi annunci? E perché cancellare tutti gli appuntamenti che ci uniscono?».

Tempo mezzora, ecco la precisazione di Maroni: la festa si farà, ma il 7 ottobre, dopo il Lingotto. E con «modalità e contenuti rivisti». Cioè senza il folklore padano cui Maroni è da sempre allergico. E in un altro luogo. Per l'esattezza a Cittadella, la città del «sindaco delle ordinanze», quel Massimo Bitonci che al congresso della Liga veneta sfidò Tosi strappando un cospicuo 42 per cento. La decisione, Bobo la prese già il giorno dopo l'elezione a segretario, comunicandola a Bitonci. Un'offerta di tregua, in seguito alla quale in effetti i bossiani veneti hanno sotterrato l'ascia di guerra. E un modo per assicurarsi il successo dell'iniziativa: Cittadella è piccola, più facile da riempire della Laguna. E se la manifestazione si terrà a casa sua, è chiaro che Bitonci farà ogni sforzo per sostenerla.

Un armistizio suggellato anche da Roberto Calderoli, che al Sussidiario.net ha rassicurato sulle epurazioni: «Nessun provvedimento disciplinare: visto che raccolgo le carte e faccio l'istruttoria ne so qualcosa...». A far scattare l'allarme erano state le lettere di licenziamento in pieno agosto per Giulia Macchi, addetta stampa alla Camera e consigliere comunale nel Milanese, e per Alessia Quiriconi, portavoce di Marco Reguzzoni dopo anni tra la Padania e il Federalista. «Esigenze di spending review» aveva giustificato il benservito Maroni. Peccato che nelle lettere si parlasse di «interruzione del rapporto di fiducia». E peccato che il gruppo alla Camera, al posto delle due bossiane, abbia già pronte due nuove assunzioni. Una, pare, per un collaboratore al Viminale di Isabella Votino, la portavoce di Maroni.

L'altra per la maroniana Camilla Vanaria, oggi a Tele Padania. I deputati bossiani hanno minacciato le barricate e potrebbero fare colletta per tenere lo stesso la Macchi e la Quiriconi. Sarebbe una dichiarazione di guerra al capogruppo Gianpaolo Dozzo. E non solo.

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