Il Grillo che aizza le piazze è uno squadrista che fa paura

Il computer che aveva maledetto è diventata la sua arma di propaganda. Ma certa violenza preoccupa anche i piccoli guru della sinistra perbenista

Un momento del comizio di Beppe Grillo
Un momento del comizio di Beppe Grillo

Quando faceva cabaret politico, ma nei teatri e sbigliettando al botteghino, andai a vedere uno show di Grillo. Mi piacque, e lo scrissi. Era proprio bravo. Quel che lasciava sul terreno in fatto di sfumature, di sottigliezza e di humour, lo recuperava con la volontà polmonare, con l'agilità da palcoscenico, la presenza, con un elemento di energia e di vivacità dell'intelligenza che è raro, almeno in quelle proporzioni, nell'attore professionale e invece è spesso l'ingrediente decisivo nel politico come attore, nel tribuno. L'oggetto della sua campagna allora era la moda che considerava prevaricante dei computer, macchine di plastica inquinante, capaci di impadronirsi del nostro cervello, da distruggere a colpi di piccone risanatore; un'altra ossessione era l'onnipotenza maledetta delle industrie e della finanza congiurate insieme nel partorire un mondo ecologicamente insostenibile. Cazzate, d'accordo, ma molto ben dette, nutrite della malinconia poetica dell'attor comico, e comunque meno grossolane dell'avvilente moralismo antipolitico di un Di Pietro, il procuratore in crociata a cui masse ingenti di italiani affidarono il nostro futuro, sperando sempre nella fucilazione spalle al muro dei partiti, per ritrovarselo oggi tra gli Scilipoti e gli Ingroia, un tetro figuro sopravvissuto a sé stesso, triste maschera di quel che era stato.
Ora che lo vedo via web nelle piazze rigurgitanti di adoranti e dementi che non amano pagare il biglietto, e si fanno circuire regolarmente dai guitti, ora che il fenomeno è uscito dai teatri definitivamente, per invadere le città italiane all'insegna di nuovo dell'esecuzione capitale dei partiti, della messa al muro della democrazia, del sogno totalitario di una trasparenza in rete che fa a meno della classe dirigente, che è animata da uno spericolato guru apocalittico e con la faccia tosta come quel Casaleggio, ora continuo a tributare omaggio alla forma del fenomeno e tutto sommato continuo anche a non prenderlo sul serio, ma ho molta voglia di smascherarlo, perché in quel coso lì che si agita contro i partiti, che esprime violenza e grinta ghignante c'è l'eterno autoritarismo puzzone italiano, molto peggio di ogni possibile fascismo, c'è il vezzo squadrista della prevaricazione, qualcosa che il populismo mite e democratico dell'imprenditore Berlusconi, uomo privato e dedicato allo Stato in forme decisamente rigeneranti per la democrazia maggioritaria, e part time, aveva eliminato dalla scena per molti anni.
La violenza di Grillo non va sopravvalutata, ma c'è. Spaventa anche i piccoli guru della sinistra perbenista, quelli che cercano da una vita di passare momenti di trascurabile felicità in compagnia del Moretti di turno, dentro un cinema d'essai in cui si proietti una mezza storia d'amore nel tinello, e si ritrovano in balia di un intruso che gli occupa le piazze e l'immaginazione del popolo da loro idealizzato, gli propina slogan vendicativi e parole d'ordine forsennate, cose che se fossero mai venute in mente al Cavaliere avrebbero comportato alti lai e proteste di massa e richieste di arresto da parte di Asor Rosa. Grillo è uno che dei Serra, dei Flores d'Arcais e dei professori del «ceto medio riflessivo» e del Palasharp, cioè del popolo dei puritanucci di serie B, quelli che si vergognano in punta di piedi di essere italiani, potrebbe fare, insieme alla democrazia dei partiti, un immenso rogo purificatore, e per soprammercato potrebbe metterci anche un bel po' di libri della Feltrinelli.
Ce ne stiamo accorgendo ora che è tardi per tutti, ma la stolta incapacità di assorbire il fenomeno Berlusconi, e cioè un civile contendere il consenso per l'esercizio come s'è visto tutt'altro che caimanesco del potere, ha provocato la nascita, in sostituzione demagogica, di un mostro di demagogia e di violenza, per adesso soltanto verbale. Uno che caccia i giornalisti a calci nel culo e che teorizza la più assoluta autoreferenzialità della piazza mediatica, un retore totalitario che non sa nemmeno bene di esserlo: ecco, questa è la nemesi per tutti quei chiacchieroni che hanno passato questi vent'anni nel delirante incubo di un inesistente Cavaliere nero.

Grillo alla fine non lo prendo troppo sul serio, ma quello che rappresenta come modello di potere senza condizioni, di tribuno che promette di aprire le Camere come scatole di tonno, quello sì. Ci vediamo in Parlamento, sarà un piacere anche per me.

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