Il premier sotto choc si crede già al Quirinale

Ci dev'essere un transfert: Monti crede di essere Napolitano. E, con discrezione e distacco, ha assunto il suo nuovo compito, convocando per consultazioni, Bersani, Berlusconi, Renzi, e il signor Grillo

Il premier sotto choc si crede già al Quirinale

Ci dev'essere un transfert: Monti crede di essere Napolitano. Ha spostato l'orologio al 20 dicembre dell'anno scorso e ha deciso di non «salire» in politica, intravedendone gli abissi. Ha confermato la sua indisponibilità, e si è ritirato discretamente in attesa di essere chiamato al nuovo ruolo di presidente della Repubblica. In questi giorni ha rimosso le sue uscite televisive, i suoi cagnolini, le sue concubine deluse Fini e Casini, come se nulla fosse stato. E, con discrezione e distacco, ha assunto il suo nuovo compito, convocando per consultazioni, Bersani, Berlusconi, Renzi, e il signor Grillo. Frastornato, non si rende conto che come prima ha fatto dispetti, come terzo incomodo, a Bersani e Berlusconi, ora, come supplente non richiesto, fa sgambetti a Napolitano. È più forte di lui: la sua è una crisi di identità. Non si riconosce più in se stesso. Ed è comprensibile. Era già presidente. Ora non è più niente.

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Non ci sono vie d'uscita. Nessuna difficoltà per eleggere i presidenti di Regione, con un turno elettorale unico. Nessuna difficoltà per eleggere, al primo turno o al ballottaggio, i sindaci. Stallo, con impossibilità di stabilire maggioranze e neppure grandi intese, per il governo nazionale. Non era difficile prevederlo. Ed è quindi evidente che c'è una perversione nel sistema elettorale. Inutile pensare che, tornando a votare, la situazione migliori. Non resta dunque che una strada, semplice e obbligata. È evidente la grave anomalia e perfino l'incostituzionalità di elezioni nelle quali si votano consapevolmente 5 persone e non si può scegliere il proprio rappresentante. Si vota a scatola chiusa una lista e alcuni candidati sanno che non potranno mai essere eletti, e non per incapacità ma per una posizione impossibile nelle liste. Con che logica candidarsi nella certezza di non essere eletti?  L'unica soluzione è dunque procedere a una riforma elettorale che impedisca lo stallo e consenta di governare a chi vince. Per questo risultato non occorre più di un anno, a partire dall'insediamento del nuovo Parlamento, che potrà quindi essere sciolto alla fine di marzo del 2014 per andare a votare nello stesso giorno delle prossime elezioni europee, in un election day a costo zero. La soluzione più logica e meno costosa evitando esecrabili sprechi. Forse è troppo semplice, troppo logico.

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Nel dibattito sull'opera del grande artista d'avanguardia Gino De Dominicis, il funebre critico d'arte Germano Celant offende e fa l'offeso, come chi non sa quel che dice, in nome di una impropria conoscenza, esprimendo ovvietà come fosse un oracolo. Naturalmente si sente molto internazionale e giudica il mio pacato argomentare volgare e ingiurioso, accusandomi, per essere elegante e affettuoso, di «debolezza intellettuale e localismo». Insiste ad annoverarmi tra i «protagonisti di questa lotta vampiresca per l'egemonia sull'eredità culturale di De Dominicis», e, in perfetta malafede, nel suo tratto elegante, pretende di spiegarmi quello che io so da sempre, e che secondo lui non capisco e non voglio intendere. Che cioè De Dominicis era contrario alla riproduzione della sue opere. Aspettavamo lui per saperlo!  Occorrerà allora fargli sapere che nelle prime riunioni dell'associazione, fondata ne 1999, il mio attuale antagonista, Italo Tomassoni, poneva all'ordine del giorno, come tema prevalente, il divieto alla concessione di riproduzioni. La semplice necessità di documentazione (anche impropria), resta comunque utile alla ricerca e allo studio per i quali Celanti non è predisposto. Per chi come noi ha frequentato e ha goduto della sua stima, era proverbiale e convincente che le fotografie dei suoi lavori fossero da considerare opera del fotografo, ma il signor Celant-«so tutto io», ci vuole ripetere la sua cantilena. Dimentica soltanto di dire che la sua stima per De Dominicis non era ricambiata.

Adesso Celant pretende di darci l'interpretazione autentica del pensiero dell'artista, convinto di essere elegante e non volgare e ingiurioso quando parla di «intime e banali lotte di appropriazione», di «strumentalizzazione da basso mercato di potere». Ci consoliamo sapendo che non sa quello che dice, certi che De Dominicis lo avrebbe ignorato.

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