Quegli imprenditori stranieri che "mettono radici" da noi

In Italia i proprietari di aziende agricole provenienti dall'estero sono aumentati dell'11%. Un business all'insegna della qualità

Roma - Alitalia. Telecom, Gucci, Valentino, Loro Piana. Gli imprenditori stranieri girano con il carrello tra gli scaffali del grande supermercato Italia, dove l'offerta è sempre dietro l'angolo. E lo fanno tra le vigne, i filari e i frutteti. Negli ultimi anni, quelli della grande crisi, gli stranieri proprietari di aziende agricole in Italia sono aumentati dell'11 per cento e oggi sono 17.286. Tra di essi c'è di tutto: tycoon con il vezzo della zappa, grandi marchi in vena di diversificazione, giovani con il culto del made in Italy agroalimentare, star dello spettacolo che hanno scelto un angolo di Italia come buen retiro e poi si sono messi a fare vino, miele e olio. A rivelarlo è analisi realizzata sulla base dei dati Inea-Infocamere da Coldiretti e resa nota ieri in occasione dell'assemblea nazionale (a proposito, è stato eletto presidente Roberto Moncalvo, che con i suoi 33 anni diventa il leader più baby di tutte le associazioni di impresa e dei lavoratori).

L'Italia è un brand irresistibile. Alcune aree di più. Quasi la metà degli imprenditori stranieri concentrano le loro attenzioni su cinque regioni: prima fra tutte la Toscana (2392 aziende «straniere»), poi Sicilia (2206), Veneto (1235), Lazio (1215) e Campania (1199). Non a caso i territori italiani a più alta valenza turistica. Quanto al passaporto di chi investe, quelli che sembrano credere di più al podere Italia sono gli svizzeri (16,0 per cento del totale). Seguono tedeschi (15,2) e francesi (7,7). Sorprende il fatto che i romeni (5,3) superino statunitensi (4,4) e britannici (4,3) anche se è presumibile che i primi siano titolari di aziende mediamente più piccole rispetto agli altri.Le tante aziende straniere non sono necessariamente un fenomeno negativo. Perché obliterano l'intramontabile fascino dei nostri prodotti. E perché si tratta di investimenti non delocalizzabili per natura, che sostengono la bilancia commerciale e l'occupazione nostrana, laddove nelle altre attività economiche all'acquisizione di imprese italiane da parte degli stranieri ha fatto seguito sovente il trasferimento degli stabilimenti fuori dai confini nazionali. Quindi niente allarmismi. Gli stranieri sono semplicemente ingolositi da un settore, quello del made in Italy agroalimentare, che di anno in anno fa registrare nuovi record di export. Basti pensare al vino, che per la prima volta nel 2013 dovrebbe raggiungere i 5 miliardi di euro in valore.

Ed è proprio il vino il prodotto italiano che ubriaca i vip stranieri. Titolari di aziende a volte poco più che casalinghe, dal profilo economico spesso trascurabile ma con l'impagabile ruolo di testimonial del made in Italy all'estero. Un precursore è stato lo scomparso allenatore svedese Nils Liedholm, che in tempi non sospetti impiantò un'azienda agricola nel Monferrato oggi gestita con successo da figlio. Fanno anche vino - a volte con risultati più che piacevoli - Carole Bouquet, che a Pantelleria produce naturalmente un Passito; il frontman dei Simply Red Mick Hucknall, che produce sull'Etba un rosso (e cosa, altrimenti?) dal nome Il Cantante; il grande Sting, che fa un ottimo Chianti Classico nella storica azienda Il Palagio di Figline Valdarmo; Bob Dylan, che ha firmato un rosso Marche Igt; l'ex calciatore francese della Roma Vincent Candela, che fa vino ai Castelli Romani.

Più sul soldo che sulla passione puntano l'ex chief executive della Time Warner Richard Parsons, che produce un sontuoso Brunello di Montalcino; il magnate russo Tariko Roustam, che si è «bevuto» la Ganciad: il fondatore di Canal Plus Michel Thoulouze, che fa vino e non solo nell'isola-orto di Venezia, Sant'Erasmo.

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