Roma - «Attacco allo Stato», la chiama così Renato Schifani «la manovra contro il presidente della Repubblica». Ma non sono i partiti a dare la caccia a Giorgio Napolitano e nemmeno gli squali della finanza internazionale, quelli che scommettono contro l’Italia e vogliono destabilizzarla. «Dietro», spiega Pier Ferdinando Casini, ci sono «schegge della magistratura che hanno obbiettivi intimidatori». Intercettano, diffondono verbali e veleni, alimentano «il circuito giudiziario-mediatico» perché, sostiene, si sentono «minacciati nei privilegi di casta e pensano di avere il monopolio su alcuni poteri». Insomma, quasi un golpe delle toghe. Ma hanno fatto male i conti, «il presidente non si fa intimidire». Angelino Alfano è d’accordo: «Le intercettazioni che sfiorano il Colle sono indecorose e indegne, però quelle di Casini sono lacrime di coccodrillo».
La voce rotta, le spalle curve, un filo di commozione. «Voi rappresentate la parte migliore del nostro Paese». Nel Salone delle Feste ci sono gli atleti azzurri e Napolitano si emoziona quando consegna il tricolore olimpico a Valentina Vezzali. Per lui è stata una settimana difficile, che ha dovuto fronteggiare sostanzialmente da solo. Le difese d’ufficio nei primi giorni sono apparse sbiadite, timide, di chi ha paura che il grillismo e l’antipolitica abbiano ormai preso piede: schierarsi con le istituzioni in questo momento non è un grande affare. Solo dopo il suo sfogo di giovedì all’Aquila, quando si è rivolto direttamente «ai cittadini» per denunciare le «insinuazioni costruite sul nulla», sono arrivate le prese di posizione di tutti. Solo dopo che ha parlato di manovre e di intercettazioni «arbitrarie, tendenziose e persino manipolate», il mondo politico si è svegliato.
Ecco allora Schifani uscire dal riserbo: «Vogliono danneggiare il nostro Paese». Ecco Casini, un po’ a sorpresa scatenato contro le toghe, che completa le frasi di Napolitano: «Chi manovra? Pezzi della magistratura. L’attacco al presidente è chiaramente pretestuoso e infondato. Voglio che si apra un’indagine, voglio sapere, da cittadino, chi è che ha fatto uscire le intercettazioni sul Quirinale, chi vuole colpire una figura che esercita con garanzie la sua funzione di equilibrio tra i poteri dello Stato».
Secondo Fabrizio Cicchitto, sotto gli attacchi al capo dello Stato «ci sono due operazioni nascoste». La prima è «coinvolgere Napolitano nell’aggressione generale al sistema politico e alla democrazia». La seconda è il «depistaggio» di chi vuole «deviare l’attenzione dai protagonisti dei fatti del 92-93». Il capogruppo del Pdl fa pure i nomi. «Questa partita delicatissima passa per le mani del pm Antonio Ingroia, che fa contemporaneamente politica in servizio effettivo con effetti devastanti. E Ingroia è solo la punta dell’iceberg perché c’è un nucleo ristretto ma assai aggressivo di magistrati del genere. Un grumo da sciogliere».
Da sciogliere anche il nodo delle intercettazioni. Dice Altero Matteoli: «Se è vero che hanno ascoltato pure Napolitano, è gravissimo». E Alfano: «Quello che succede con il Colle è una modalità barbara a cui noi abbiamo provato a porre rimedio. Quando ci abbiamo provato noi a garantire la privacy delle conversazioni telefoniche, ci è stato obiettato di tutto pur di non farlo realizzare. L’Udc, invece di lamentarsi adesso, perché non presenta un disegno di legge, un incentivo parlamentare per aprire un percorso serio per regolamentarle? Altrimenti sono solo chiacchiere». La riforma degli «ascolti» è in calendario alla Camera, ma un’intesa appare ancora lontana. «Il testo è inadeguato», dice Donatella Ferranti, Pd. Chissà che il caso Mancino-Colle non sblocchi la situazione.
Ma per Walter Veltroni il capo dello Stato è «sotto attacco da ambienti politici che vogliono far cadere il governo Monti», mentre «la magistratura, tutta, sta lavorando per cercare la verità». Pierluigi Bersani però non lo segue: «Napolitano è uno dei pochi presidi della democrazia. Sarebbe meglio evitare manovre, altrimenti non ci ritroviamo più niente».
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