Adesso i pellerossa si prendono lo scalpo dell’aquila calva

Adesso i pellerossa si prendono lo scalpo dell’aquila calva

Cheyenne, Wyoming (Usa). Questi nomi evocano paesaggi maestosi e solitari, ai confini nordoccidentali di quell’America dove si svolse la corsa all’oro e l’epopea del Far West, ricordano parchi nazionali fra i più visitati al mondo, come il celeberrimo Yellowstone che vanta il suo stato di patrimonio dell’umanità, quale parco nazionale più antico al mondo (fondato nel 1872).
La sua fauna comprende animali di grande pregio per la loro rarità, dagli orsi Grizzly (diventati il simbolo del parco) alle linci, dal cervo mulo alla lontra di fiume nordamericana. Questo pezzo di Wyoming ospita sessanta specie di mammiferi e la celebre Aquila di mare dalla testa bianca (Aquila calva), simbolo degli Stati Uniti d’America. Si tratta di un rapace presente solo sul suolo americano (e canadese) che ha subìto la pressione di una caccia sconsiderata nei secoli scorsi, fino a ridurlo sull’orlo dell’estinzione.
Dal 1920 il governo ha messo questo uccello sotto protezione e ne ha fatto il simbolo dell’America, portandolo a una popolazione attuale di circa 80.000 soggetti e rendendo la sua figura slanciata e possente, familiare e amata da ogni cittadino americano. Ma il Wyoming (come il Colorado e tanti altri stati) evoca anche una triste storia, quella degli indiani d’America e delle loro infinite tribù. Una delle più famose, amica dei Cheyenne e in parte degli Sioux, è quella degli Arapaho che in lingua Pawnee, vuol dire «commerciante».
Storici abitanti delle pianure di Wyoming e Colorado, gli Arapaho divennero i più raffinati commercianti di pelicce, che vendevano, senza tanti scrupoli, ad altre tribù ma anche a non indiani. La loro fama è dovuta soprattutto a un episodio che è divenuto paradigmatico dello scellerato e indiscriminato sterminio che li costrinse a esiliarsi nelle riserve a bere e vendere amuleti ai turisti di passaggio. Nel 1864 un piccolo villaggio di Arapaho e Cheyenne venne assalito dai soldati dell’Unione comandati da «un generale di vent’anni, occhi turchini e giacca uguale», così, canta De Andrè. Fu il massacro di Sand Creek, in cui donne, bambini e anziani non furono risparmiati dal giovane colonnello (generale per ragioni di metrica) John Chivington.
Oggi gli Arapaho tornano a far parlare di sé, perché le autorità statunitensi del Wyoming hanno permesso alla loro tribù di uccidere due Aquile calve per motivi religiosi. Le leggi federali proibiscono l’uccisione di questo uccello e permettono, di solito, l’uso delle carcasse o delle penne di soggetti morti per le vecchie usanze indiane, ma, fino a oggi, non si ricordano permessi di abbattimento a minoranze che intendano usare animali protetti per motivi tradizionali o religiosi, tranne sporadici episodi come quelli concessi alla tribù degli Hopi (Arizona) che prevedeva potessero impossessarsi dell’Aquila dorata.
Nel 2005 ci fu il caso, ancora in corso di procedimento legale, di Winslow Friday, capo tribù, che uccise un'Aquila calva nella River Wind Reservation e la utilizzò per la sua Danza del Sole.
Ora si susseguono i cavilli legali degli avvocati che sostengono la tribù Arapaho contro le autorità statali per il controllo di caccia e pesca. Gli uni invocano i diritti delle minoranze, mentre le altre si oppongono a salvaguardia delle specie in pericolo, soprattutto quando sono un simbolo della nazione.


Con tutto il rispetto per i diritti delle minoranze e dei popoli che hanno sofferto la pressione violenta del più forte, non si ripara certo ai torti fatti sacrificando pezzi d’inestimabile valore che la natura ci ha donato sull’altare di tradizioni religiose o pagane che siano. Non vorremmo che domani i nostri figli vedessero teste rotolare per strada onde difendere i diritti di una tribù che si è insediata vicino alla stazione. Anche perché quelle teste sarebbero umane.

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