Gli arabi sbagliano a fidarsi di "Dibba"

Sono contento per Alessandro Di Battista il quale, come il suo ex collega di partito, Luigi Di Maio, ha più successo in Medio Oriente che in casa

Gli arabi sbagliano a fidarsi di "Dibba"
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Illustre Direttore Feltri,
sembra che Alessandro Di Battista sia diventato un personaggio amatissimo nei Paesi arabi, addirittura l'idolo degli estremisti islamici sparsi per il mondo, per via della difesa che egli ha fatto in tv della Palestina e quindi anche di Hamas, che ha aggredito Israele il 7 ottobre mettendo a segno una carneficina, un massacro di civili. Non ci facciamo una bella figura. Le pare possibile che un cittadino italiano si faccia promotore della causa dei terroristi antisemiti come se fosse un qualunque imam radicalizzato e dedito al proselitismo contro l'Occidente?
Mi vergogno per lui.
Renato Bianchi

Caro Renato,
sono contento per Alessandro Di Battista il quale, come il suo ex collega di partito, Luigi Di Maio, ha più successo in Medio Oriente che in casa. Sai come si dice...: «Nemo propheta in patria». Certo, lo avremmo preferito falegname, o animatore nei villaggi turistici, attività che svolgeva prima di essere eletto alla Camera dei deputati nel 2013, o avventuriero con lo zaino sulle spalle a zonzo per il mondo e impegnato a farci le prediche da ogni latitudine, attività che ha svolto una volta conclusosi il suo mandato, invece Alessandro Di Battista, due braccia strappate all'artigianato o alle segherie italiane afflitte dalla carenza di personale, è diventato idolo di massa nei Paesi islamici per il suo sostegno ad Hamas e alla Palestina, tanto che i suoi dibattiti e le sue disamine audio-video vengono trasmessi con sottotitoli in arabo. E saremmo curiosi di sapere come egli venga presentato, cioè introdotto, dal momento che in patria è il Signor Nessuno.

Del resto, il cinquestelle cadente, anzi no, scadente, anni fa arrivò a dichiarare che «l'Isis va compreso», insomma i terroristi islamici sono cattivi ragazzi ma hanno, dopotutto, le loro buone ragioni che noi ragionevoli cristiani non conosciamo. E che dire del suo appoggio ai gilet gialli nel momento in cui mettevano a ferro e fuoco Parigi e la Francia tutta? Alessandro è così: ha la capacità straordinaria di stare sempre dalla parte sbagliata, ossia di chi adopera la violenza come ordinario strumento di pressione e di potere. Nel marzo del 2022, ospite nel programma Di Martedì, spiegò che, se diamo le armi all'Ucraina per difendersi da Putin, anzi dai «missili supersonici russi» (sic!, anziché ipersonici), allora sarebbe giusto fornirle anche ai palestinesi «senza Stato per colpa dell'ipocrita comunità internazionale». Il rivoluzionario (con il sedere degli altri) Dibba, uno che per intenderci è convinto che la nostra Costituzione sia stata «approvata a suffragio universale nel 1948» e che ritiene che «Mario Draghi non capisce nulla di politica e nemmeno di economia», se la prende se osi parlargli sopra in uno degli show televisivi in cui è troppo spesso ospite replicando con un congiuntivo maccheronico alla Gigi Di Maio: «Lei non mi interrompi». Ci sfugge il motivo per il quale il Dibba seguiti ad intervenire nel dibattito pubblico dispensando troppo generosamente le sue perle (o supposte) di saggezza. A che titolo blatera? Non è un politico. Al massimo, lo fu, per qualche annetto. Non è un esperto. Non lo è mai stato e mai lo sarà, sebbene a tale si sia atteggiato. Non è un intellettuale. Non è un giornalista. Non è un politologo. È un rompipalle conclamato e pluridecorato, sì, ma questo non ci sembra faccia curriculum. Che l'ex grillino sia stato promosso difensore della causa dei terroristi antisemiti di Hamas non dovrebbe tuttavia stupirci, ove consideriamo che Dibba è uno che in aula ha confuso Austerlitz con Auschwitz, salvo scusarsi poi su Facebook. «Macron piace a tutti quanti voi come se fosse Napoleone, ma almeno quello combatteva sui campi ad Auschwitz e non nei cda delle banche d'affari», affermò Di Battista nel 2017.

Io lo terrei in auge soltanto perché ci fa

divertire. E, in fondo in fondo, noi commettiamo lo stesso errore di chi ora nei Paesi arabi lo applaude: lo prendiamo troppo ma davvero troppo sul serio. E questo è un vizio che persino Dibba coltiva nei confronti di se stesso.

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