Bersani arruola i migliori comici: ora è meno solo

Intristito da litigi e divisioni interne, il segretario trova sempre il modo di divertirsi. Da Crozza a Benigni, ama circondarsi di comici che sfrutta per i suoi fini politici

Bersani arruola i migliori comici: ora è meno solo

Prima Crozza, poi Gene Gnocchi, adesso Benigni: temendo di non far ridere abbastanza con le litigate interne, Pier Luigi Bersani si affida ai professionisti della comicità. E, a dire la verità, sembra più a suo agio con loro che con i suoi colleghi di partito: li chiama, li comanda, li fa entrare e uscir di scena a suo piacimento. E loro obbediscono a bacchetta al contrario di quel Renzi che fa sempre di testa sua e non rispetta il copione. Che ci volete: siamo mica qui a mettere la crema da barba ai Ringo, direbbe Bersani. Che, ormai è evidente, funziona meglio da capocomico che da segretario Pd. E guai a chi dice: ci vuol poco.

Buon per lui, se non altro così si garantisce uno sbocco professionale: se non gli riesce di entrare a Palazzo Chigi, lo prendono di sicuro a Zelig. Claudio Bisio si è appena dimesso e il cabaret più famoso d'Italia sta cercando un sostituto all'altezza. C'è qualcuno che abbia la stessa esperienza di Pier Luigi da Bettola?
La sua carriera comincia nel 2009, durante le primarie che lo portarono alla segreteria, con una memorabile intervista alle Iene in cui scherzava sul parrucchino. Nel 2010 andò da Fazio e si fece prendere un po' in giro dalla Littizzetto. Ma era solo l'antipasto per il grande exploit: il 27 maggio 2011 fa la sua comparsa sul palco di Italialand, con Maurizio Crozza in un memorabile duetto a suon di metafore: «Siamo mica qui a far la ceretta allo Yeti», «siamo mica qui a fare la permanente ai cocker», «siamo mica qui a mettere i pannelli fotovoltaici alle lucciole». E comunque: «Se piove, piove per tutti e il maiale non è tutto di prosciutti».

Essendo la vita del segretario Pd piuttosto amara, Bersani ha pensato di addolcirsela così: ogni volta che le spaccature interne lo deprimono, chiama uno dei suoi artisti e si spara una bella risata. Oddio: è vero che nessun autore, per quanto di valore, riesce a inventarsi scambi di battute divertenti come quelle che hanno caratterizzato gli ultimi giorni della sinistra («fascisti», «comunisti», «larve», «falliti», «piduisti», ecc.), però bisogna ammettere che al capezzale del capocomico Pier Luigi non si nega nessuno: c'è da vincere la difficile battaglia di Parma? Scende in campo Gene Gnocchi. C'è da chiudere il capitolo della polemica con Grillo, unico comico non ammaestrato dal burattinaio della risata? Arriva a spron battuto Roberto Benigni. Per non dire del già citato Crozza, che è sempre lì, una specie di tamagochi del sorriso di Bersani, un tiramisù pronto in scena in ogni momento, un clone perfetto del segretario del Pd per duettare con l'originale al suon di «stavolta abbiamo smacchiato il giaguaro».

Certo, considerato il tema da un altro punto di vista, c'è da rimanere sorpresi di tutti questi satiri progressisti, paladini della cultura «libera», premi Oscar e affini, che si autoproclamano censori supremi e garanti dell'indipendenza intellettuale, e che poi, subito dopo, accorrono come cagnolini scodinzolanti a omaggiare il segretario di partito. Ricordate come cantava Edoardo Bennato, tanti anni fa? «Gli impresari di partito mi hanno fatto un altro invito e hanno detto che finisce male se non vado pure io al raduno generale della grande festa nazionale». Non è cambiato molto, in fondo: la differenza è che trent'anni fa andava di moda il cantautore, adesso il comico.
Da «Sono solo canzonette» a «Sono solo barzellette», il passo è stato breve. E l'effetto è sempre quello del Bagaglino, seppur un po' di gauche e dunque chic.

Ma noi vogliamo guardare in positivo. E dunque più che deprimerci per le modeste performance militanti di Benigni, Crozza e Gnocchi, preferiamo esaltare le grandi capacità di Bersani nel gestirli: in effetti a parte Grillo, come s'è detto, rispondono tutti alla perfezione alle sue mosse. Anzi, viene da pensare che se il segretario del Pd sapesse guidare i suoi colonnelli sul palcoscenico della politica come guida i comici sul palcoscenico dello show, be', avrebbe risolto metà dei problemi del partito. Invece: «Siamo in culatel de sac», come direbbe lui imitando se stesso.

E anche se non è vero che il pesce sega diventa cieco, be' forse sarebbe il caso di mettere almeno un paio di occhiali: magari guardando da vicino il suo partito si accorgerebbe che alla Festa democratica l'unica cosa di cui non si sente l'urgenza in realtà sono proprio i comici. Non c'è bisogno di loro, in effetti, per morir dal ridere.

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