La paura che Mario Monti possa davvero scegliere di scendere in campo e sparigliare i giochi è tanto forte che Pier Luigi Bersani convoca i giornalisti nella sua Piacenza per dare l'altolà: «Proprio perché Monti può essere ancora utile, sarebbe meglio che restasse fuori dalla contesa», avverte.
Dietro quell'«utile» si cela, spiegano nella cerchia bersaniana, sia l'offerta reiterata del Quirinale che l'ipotesi - assai più hard per il Pd - di un Monti super-ministro dell'Economia, ossia numero uno bis del futuro governo. «Il suo contributo per il paese sarà fondamentale anche dopo», incalza Enrico Letta, «e vedremo in che modo».
L'incognita delle prossime mosse di Monti allarma il Pd, che si sente già la vittoria elettorale in tasca e guardava con letizia ad una campagna elettorale bipolarizzata dal ritorno del Cavaliere. Se il Professore sponsorizzasse un rassemblement centrista, il rischio di non avere la maggioranza al Senato sarebbe forte. Per questo Bersani, intervistato dal Wall Street Journal, mette le mani avanti: se non ci fosse una chiara maggioranza, «la soluzione non sarà né Bersani né Monti, ma nuove elezioni». Come dire che il Pd, che presumibilmente avrà comunque la maggioranza alla Camera (l'ultimo sondaggio lo dà al 32%), non appoggerà altro governo che quello guidato dal segretario.
Ma al di là delle decisioni politiche del premier, è il pressing crescente di tutti quei mondi che alimentano la diffidenza verso le future politiche di un governo Pd-Sel a creare irritazione ed allarme. I mercati, le cancellerie Ue (e non solo), i soliti «poteri forti» e giornali fiancheggiatori: non è sfuggito il rapido posizionamento del Corriere della Sera, e se non fosse stato chiaro ieri il direttore De Bortoli lo ha detto esplicitamente: «Guardo con preoccupazione ad un futuro governo condizionato da Vendola». Anche la linea di Repubblica, che alterna carezze a Bersani e endorsement a Monti, non lascia tranquilli. E ieri ci si è messo pure l'amico dell'Eliseo, François Hollande, che da Oslo se ne è uscito con la previsione che Monti resterà in campo: «In un mese o due sarà in grado di unirsi ad una coalizione o andrà avanti e stabilizzerà l'Italia».
Che la pressione sia forte lo denuncia un dirigente di Sel molto vicino a Nichi Vendola: «È chiaro a tutti che Berlusconi non ha alcuna possibilità di vincere, quindi questo pressing ha un altro obiettivo: spostare al centro l'asse del futuro governo italiano». La loro grande paura, spiega, è che «domani ci sia un'Europa guidata da Bersani con noi, da Hollande e magari dalla Spd tedesca». Per questo si vuole «spingere il Pd ad allearsi col centro montiano e ridare un ruolo di governo al Professore». Ma Sel, avvertono i vendoliani, è pronta alle barricate: «Monti ministro dell'Economia? Non esiste. Bersani sarebbe dimidiato e noi messi all'angolo. Ci metteremo di traverso». Nel frattempo, però, i bersaniani si dicono certi che «pur di fare il governo, ci starà anche Nichi».
E Bersani, con il Wsj, assicura - in pratica - che la sua politica economica sarà quella di Monti, e non di Vendola: «La discussione sull'articolo 18 è un capitolo chiuso», dice, elogiando gli effetti positivi della riforma Fornero sulla flessibilità. Tuona da Rifondazione Paolo Ferrero: «Bersani è il sosia di Monti». Reazioni di Sel: zero. E pure la Cgil tace. O non sanno l'inglese, o il momento è davvero grave.
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