Le capriole del giullare che volle farsi re

L’ex comico in politica non ha mai smesso i panni dell’attore: cambia idea come gli abiti di scena

Le capriole del giullare che volle farsi re

Per anni hanno detto che i politici erano dei buffoni e poi hanno messo un comico a fare il politico. Massima delle perversioni. Il vincitore è lui. Sulle ceneri dei partiti rimane in piedi solo un comico. Che se la ride. Perché ha vinto. Per sottrazione, per assenza, ma anche per capacità. I grillini hanno parlato alla gente e hanno saputo farlo con il mezzo più pervasivo ed economico: la rete.
Lui è sempre stato se stesso, con le mille contraddizioni che mette in piazza e sul web. Fa l’ecologista ma girava in Porsche, la domenica è in Costa Smeralda come un vip qualunque e il lunedì fa le barricate assieme ai No Tav, mette alla gogna tutti i politici in attesa di giudizio e lui è condannato in via definitiva per omicidio colposo, si spaccia per vate del web e fino a dieci anni fa spaccava i computer a martellate. Tutto e il suo esatto contrario. A seconda dell’opportunità e della convenienza. Disinvolto nel cambio delle idee come un attore che alterna gli abiti di scena. Una recita infinita. Dal palco dell’Ariston al Transatlantico. Prima per vederlo bisognava prendere il biglietto al botteghino ora basta la scheda elettorale. Voti al posto di audience, elettori invece che spettatori.
Per molti anni è stato un cortocircuito, ma ora smettiamola di chiamarlo comico, ché la sua è l’arte della vecchia politica. Il passaggio definitivo, il punto di non ritorno è stata proprio questa campagna elettorale. Beppe Grillo si fa prestare un camper e parte per un estenuante tour di comizi attraverso i 102 comuni in cui il Movimento 5 Stelle presenta le sue liste. E si esibisce, si concede senza sosta al suo pubblico, ai suoi elettori, che affollano piazze e piazzette per sentirlo parlare. Gratis. Per la prima volta. Grillo è un genovese astuto e un artista che sa gestire alla perfezione la sua popolarità. Non dilapida una carriera per nulla, non satura il mercato dei suoi potenziali spettatori per un piatto di trofie al pesto. Sondaggi alla mano, Grillo ha scelto: il suo futuro senza ritorno è la politica. E via a macinare migliaia di chilometri, vedere centinaia di facce, stringere chissà quante mani. In ogni posto dice la parola giusta e recita una parte differente. Nelle regioni rosse squaderna idee progressiste, nelle enclave berlusconiane fa il liberista e si lamenta dell’oppressione fiscale. La Lega trema sotto lo scandalo dei rimborsi elettorali e lui si presenta a Varese più verde che mai: Bossi era un grande, ma il marcio della politica lo ha corrotto. Dove c’è un vuoto Grillo si infila, dove c’è una domanda lui arriva con la risposta compiacente e se c’è già la risposta lui completa il rebus con la domanda. In Veneto flirta con la Lega e in Sicilia dice che Equitalia è peggio della mafia. Grillo non è un politico, ma un geopolitico. Cambia idea a seconda delle latitudini.
Se Grillo è un politico, il M5S è un partito e, come tale, patisce tutti i problemi dei suoi simili. Parlando con il popolo stellato emerge una certa insofferenza al dispotismo del leader. Beppe Grillo è ingombrante, sotto tutti punti di vista. Il suo carisma e la sua popolarità, che in fase di decollo hanno fatto da propellente al movimento, ora rischiano di arrestarne la corsa. Il M5S è uno Space Shuttle sparato nello spazio e Grillo rischia di essere il serbatoio di benzina che, una volta oltrepassata l’atmosfera, viene sganciato e lasciato cadere a terra.
Ai grillini non piacciono gli editti del nonpiùcomico: dalle espulsioni ai divieti perentori. Innanzitutto quello che impedisce a tutti i militanti di partecipare ai talk show. Tutti meno uno, che ovviamente è Grillo.
A Garbagnate Milanese, prima di mettersi a concionare sul palco per sostenere il suo candidato al ballottaggio, si è regalato un’intervista di due ore con la Cnn. Sono i privilegi del capo, ma è anche l’ennesima contraddizione. Ora che molti suoi uomini siedono nei «palazzi del potere» non può pretendere che rinuncino alla televisione. Sono rappresentanti dei cittadini e con loro devono confrontarsi.
All’interno del partito sono già in molti a fare la fronda e puntare il dito contro Gianroberto Casaleggio, l’uomo che ha convertito Grillo al web e che gestisce la comunicazione dell’artista e del movimento intero. Tutte le pratiche passano dalle mani della società di Casaleggio e i grillini duri e puri, quelli che lottano per la partecipazione diretta, non ci stanno. Non si può essere alfieri della democrazia senza averla al proprio interno. Non si può pretendere la trasparenza delle istituzioni pubbliche e poi decidere a porte chiuse il destino di un partito che pretende di essere «collettivo». Sparse nella rete, sui blog e nelle chat di area, si moltiplicano le richieste di maggiore indipendenza dal capo. I grillini crescono e hanno bisogno dei loro spazi. Tira già aria di parricidio?
Adesso il Movimento è la proiezione del corpo di Beppe Grillo, della sua furia iconoclasta, delle sue provocazioni, della sua figura parlata e vissuta da una voglia irrefrenabile di stupire, catalizzare e, certo, cambiare. Ma dietro il «capo», oltre quelle sei lettere e quelle cinque stelle stampate sul simbolo del movimento, ci sono migliaia di iscritti che rappresentano la nemesi del loro leader. Sono moderati, spesso preparati, non urlano e non amano le luci della ribalta. A differenza di Grillo.
Lui, ora che da distruttore è rapidamente passato al ruolo di «costruttore», si deve rassegnare: è un politico e deve accettare la grammatica della politica. Pochi giorni prima delle elezioni arriva anche l’incoronamento simbolico.

Nel pantheon degli Sgommati, il programma di satira politica trasmesso da SkyTg24, fa la sua comparsa il pupazzo di Grillo. Il comico che prendeva per il culo i politici ora viene sfottuto dai comici in quanto politico. Il cerchio è chiuso.

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