Pubblichiamo in anteprima un estratto del nuovo focus Case dell'acqua gratis? Non la bevo di Serena Sileoni, fellow dell'Istituto Bruno Leoni. Il testo integrale sarà disponibile da domani sul sito www.brunoleoni.it
di La distribuzione di acqua potabile tramite le cosiddette «case dell'acqua» è una modalità di offerta del bene idrico nuova, che reca con sé punti di forza che possono cambiare le scelte individuali. Purché tali scelte siano libere e incondizionate, ovviamente.
Il punto è capire se esse lo siano davvero, o se il regolatore pubblico non stia cercando di veicolare il consumo di un bene. In Lombardia, ad esempio, la regione ha stanziato 800mila euro per la realizzazione di questo tipo di distributori al fine di stimolare le persone all'uso dell'acqua che scorre negli acquedotti (2 italiani su 3 sembrano non fidarsene), e di diminuire l'uso della plastica e del trasporto su ruote delle bottiglie. Si direbbe che siano tutte finalità condivisibili e ragionevoli, ma vi sono almeno tre questioni che gettano qualche ombra.
Le case dell'acqua non possono ritenersi un servizio pubblico essenziale o comunque un servizio di interesse generale per il soddisfacimento del «diritto all'acqua», atteso che i cittadini godono già della possibilità di bere l'acqua che scorre negli acquedotti direttamente dai loro rubinetti. Qualsiasi altra modalità di erogazione di acqua rientra quindi in un'attività di impresa che né gli enti locali né la regione hanno motivo di sostenere o frenare, il cui successo o meno dipenderà dalla scelta dei consumatori circa l'acqua da preferire, considerato, peraltro, la non equivalenza dell'acqua minerale rispetto a quella dell'acquedotto.
E sulla non equivalenza riposano gli altri due motivi di perplessità circa lo stanziamento di soldi pubblici per favorire le case dell'acqua.
Per legge, le acque minerali sono quelle che, «avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e, eventualmente, proprietà favorevoli alla salute», e che dunque si distinguono dalle ordinarie acque potabili «per la purezza originaria e (...) conservazione, per il tenore in minerali, oligoelementi o altri costituenti ed, eventualmente, per taluni (...) effetti». Pertanto, un messaggio come quello che trapela dallo stanziamento di fondi per la costruzione e gestione di case dell'acqua, secondo cui le famiglie possono diminuire il costo dell'acqua da bere imparando a usare quella dell'acquedotto piuttosto che quella in bottiglia, è un messaggio ingannevole o almeno fuorviante, perché mette in concorrenza due prodotti che non sono equivalenti. A ben vedere, e questa è la terza perplessità, tale messaggio è anche discriminatorio nei confronti di quanti, pur essendo disposti a bere l'acqua dell'acquedotto, per motivi di salute devono bere particolari acque minerali, o è preferibile che lo facciano. È evidente che i soldi per finanziare le case dell'acqua provengono dalle tasse di tutti, ma verrebbero utilizzati per un servizio fruibile solo da coloro per i quali è indifferente bere semplice acqua potabile o acqua minerale.
Ricapitolando, il finanziamento delle case dell'acqua con soldi pubblici è: 1) ingiustificato, poiché interviene in quella che potrebbe essere una normale attività di impresa, ripagabile dai profitti come avviene ora con la vendita di acqua minerale; 2) ingannevole nel far ritenere agli utenti di poter risparmiare il costo dell'acqua in bottiglia, come se il prodotto fosse equivalente; 3) discriminatorio nei confronti di coloro che comprano acqua in bottiglia per finalità terapeutiche, e che parteciperebbero, da contribuenti, alle spese di costruzione e gestione delle case dell'acqua senza poterne usufruire.
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