Non sempre la giustizia lenta nuoce gravemente alla salute. Chiedere, per conferma, a Gianfranco Fini e ai Tullianos – la compagna dell’ex presidente della Camera, Elisabetta, il «cognato» Giancarlo e il loro padre, Sergio – che, da ieri, vedono cadere la pesante accusa di associazione per delinquere nel processo che li vede comunque ancora imputati per riciclaggio, per la vicenda dei milioni che il re delle slot Francesco Corallo – imputato in altro procedimento - avrebbe sottratto al fisco. Tutto grazie alla prescrizione per quella accusa, intervenuta in quanto è stata esclusa la transnazionalità del reato. Così, caduta l’aggravante, i giudici della quarta sezione collegiale hanno dichiarato prescritto il reato associativo, rimandando il processo alla prossima udienza, in calendario per il 18 marzo e nella quale è attesa la requisitoria del Pm.
Una buona notizia per l’ex leader di An, recentemente tornato sulle scene dopo anni nell’ombra, che comunque deve ancora affrontare l’accusa di riciclaggio anche per quell’affaire immobiliare legato alla compravendita della celeberrima «casa di Montecarlo». L’appartamento di boulevard Princesse Charlotte venne donato al partito allora guidato da Fini dalla contessa Annamaria Colleoni nel suo testamento per finanziare «la buona battaglia» di An. Ma finì invece per diventare la residenza monegasca del cognato di Fini, Giancarlo Tulliani, dopo essere stato svenduto dal partito nel 2008 per 300mila euro a una società offshore che, secondo Fini, proprio il giovin Tulliani gli avrebbe presentato. Fatto sta che nella casa finì per andarci a vivere Tulliani e fu il Giornale a scoprire la magagna, mentre Fini gridava al complotto, giurava di essere all’oscuro di tutto, e assicurava che la casa era stata venduta al giusto valore, promettendo di dimettersi se fosse stato dimostrato che dietro alla offshore c’era il cognato. La dimostrazione arrivò, Fini non si dimise ma la sua stella tramontò lo stesso.
E dopo la prima inchiesta archiviata dalla procura di Roma (che stabilì che An poteva vendere quell’appartamento al prezzo che gli pareva), la verità è emersa con una seconda inchiesta della Dda capitolina, che scoperchiò il presunto sistema di riciclaggio dei soldi che l’impero del gioco di Corallo aveva sottratto alle imposte per video-lottery e gioco on-line. Un sistema che prevedeva anche il riciclaggio tramite investimenti immobiliari, su tutti proprio l’appartamento monegasco: le offshore per le toghe erano riconducibili a Tulliani, che comprò la casa svenduta dal partito del cognato grazie ai soldi di Corallo, che si sarebbe mostrato così munifico con i Tullianos proprio a causa del legame tra la famiglia e Fini. Quando poi l’appartamento venne rivenduto, nel 2015, a 1 milione 360mila euro, con una clamorosa plusvalenza di oltre un milione, i soldi sarebbero stati spartiti tra Giancarlo e la stessa Elisabetta.
Un dettaglio per il quale, in un’udienza del processo del marzo 2023, Fini scaricò ogni responsabilità sulla compagna: «La vendita dell'appartamento di Montecarlo è stata la vicenda più dolorosa per me.
Sono stato ingannato da Giancarlo Tulliani e dalla sorella Elisabetta che insistettero affinché mettessi in vendita l’immobile», sospirò, negando di essere a conoscenza delle trame dei Tullianos (ma ammettendo di aver saputo già nel 2010 che a comprare la casa fosse stato Giancarlo), e ipotizzando pure che la casa romana nella quale abita con la compagna «sia stata acquistata dai Tulliani coi soldi della vendita della casa di Montecarlo. Ma non ne sapevo nulla». I magistrati non ne sono convinti: per gli inquirenti l’ex presidente non è un raggirato, ma ha ricoperto un ruolo «centrale e consapevole».
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