Gianni Agnelli, patriarca gentilumo che teneva in pugno il Paese

Dopo la scomparsa del grande imprenditore, resta solo un album di ricordi

Gianni Agnelli, patriarca gentilumo che teneva in pugno il Paese

Dieci anni sono nulla. Sono un bambino che incomincia a sognare di diventare adulto, sono un tempo assai breve di una vita lunga, sono l'arco intenso di un amore. Sono il vuoto che non è stato riempito da quando Giovanni Agnelli morì nella sua dimora di Torino (era il 24 gennaio del 2003) e con lui se ne andò una fetta grande di storia, non soltanto di quella città, ma dell'Italia intera e di mille persone che di quell'epoca e di quel personaggio furono contorno. La presenza dell'assente, questo è oggi ancora Giovanni Agnelli, continua il viaggio inutile alla ricerca di qualcosa che si è ormai perso e non smarrito, che Fiat ha soltanto nelle fotografie di repertorio e in un ossequioso, formale rispetto piemontese per il patriarca; la pagina è stata girata, altri uomini, altre figure, altri personaggi, altre parole. Finì la propria vita, un anno dopo, anche il fratello Umberto e, con la scomparsa dei loro figli, Giovanni Alberto ed Edoardo, fu come la conclusione di un'era, quasi di una dinastia, un libro chiuso di colpo, stracciate le ultime pagine, incompleto il racconto, avvolto anche dai misteri, tra dubbi e angosce. Giovanni Agnelli nulla sa di questa Fiat, di Marchionne, dei suoi maglioni improbabili e della sua barba imprevedibile, nulla sa di un'Italia che, in modo gattopardesco, finge di cambiare tutto perché tutto rimanga come prima. Nulla sa perché non poteva certo nemmeno immaginarlo, la sua Fabbrica Italiana Automobili Torino, come era solito pronunziare quasi sillabando, le sole quattro parole italiane, nei discorsi in lingua inglese, la Fiat, dunque, socia di americani, Torino e Detroit, unite per lo stesso interesse imprenditoriale.
Nemmeno avrebbe immaginato e ipotizzato un'eventuale fuga dal Paese, come da tempo le voci si inseguono per poi smentirsi. In fondo era anche questa la caratteristica di un uomo di mondo, Gianni Agnelli per l'appunto, comunque legato a Villar Perosa, a Torino, le radici, La Stampa e la Juventus, dopo la belle epoque del play boy, Costa Azzurra, New York, il ranch argentino con Priscilla Rattazzi che fotografava quel narciso con i capelli bianchi al vento e la camicia jeans aperta sul petto, il bagno all'alba nella caprese grotta azzurra, i Kennedy e Kissinger, Gheddafi e Lanza di Trabia, un album che ogni volta ritorna per ricordare, appunto, questo vuoto decennio, spesso riempito con la stessa frase: «Ah se ci fosse l'Avvocato».
Non ha fatto in tempo a vedere e vivere le splendide Olimpiadi invernali che hanno trasformato Torino, rendendola di nuovo lucida, elegante, bellissima come avrebbe desiderato; non ha avuto il tempo di assistere e soffrire alla caduta vergognosa, mortificante della Juventus e dei suoi dirigenti, liquidati in un giorno e abbandonati senza difesa alcuna; non avrebbe previsto che un altro Agnelli, il nipote Andrea avrebbe ridato dignità al club e di nuovo vinto sul campo; non avrebbe potuto prevedere le pratiche legali tra parenti e una famiglia spezzata per un'eredità sbattuta in piazza; si sarebbe divertito dinanzi alla simpatica rinascita e riapparizione della Cinquecento, da un'idea bizzarra di un bizzarro nipote come Lapo che di lui è forse il solo ad aver conservato fascino maledetto e alcuni tratti somatici; di sicuro sarebbe fiero della crescita di John (nel tondo) al quale era stato, dallo stesso nonno, affidato il futuro dell'azienda, provocando la rabbiosa, umana e silenziosa reazione di Edoardo, il figlio quasi dimenticato, evitato, poi tragicamente scomparso. Quest'ultimo fotogramma accadeva prima di quel gennaio del Duemila e tre, ma forse fu il giorno più lungo in cui la luce prese ad affievolirsi negli occhi di un uomo già sofferente, appoggiato a un bastone, bianchissimo nei capelli e nel colore della pelle, consapevole che il sole stesse per tramontare.
La morte di Umberto e quella di Susanna tagliarono l'ultimo nodo della corda che teneva assieme, per il popolo, la famiglia intera. Dieci anni sono un tempo davvero breve ma ormai lontanissimo. Trascorsi senza quell'uomo ancora presente.

segue a pagina 10

Bonora alle pagine 10-11

di Tony Damascelli

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