Che tristezza quelle first lady sempre nell'ombra

Accanto al premier serve una donna che faccia sognare per look e comportamento

Che tristezza quelle first lady sempre nell'ombra

La signora Agnese Renzi (nata Landini) non ha fatto in tempo a sedersi sulla tribuna di palazzo Madama, di bianco vestita, e di dire che d'ora in poi «non seguirà più Matteo a Roma perché starà a casa a occuparsi dei figli», che subito i media le hanno appiccicato uno stile che Luis Buñuel, nel '72, aveva già attribuito al fascino della borghesia: discreto.
Avrebbero potuto chiamare «noia» una simile devozione all'abitudine. E invece no. Hanno salutato tutti con ammirazione e sollievo la scelta (o l'indole, vai a capire) dell'improvvisa first lady. Come se essere schivi fosse di per sé un pregio ed esserlo da prima donna fosse la spia di un valore. L'insegnante toscana è stata di prepotenza schiaffata in una lunga carrellata di fulgidi esempi di sobrietà: assieme alla moglie di Mario Monti, Elsa Antonioli (quella che rimproverava a sguardi il tecnico quando in chiesa osava rispondere al telefono che gli protestava in tasca), a quella di Enrico Letta, la giornalista Gianna Fregonara (che ha rinunciato a fare la capocronista a Roma), all'ex di Silvio Berlusconi, Veronica Lario (muta e assente fino alla missiva alla Repubblica), alla signora Prodi, Flavia Franzoni (con Birkenstock e pacchi della spesa), alla signora Franca Pilla «in» Carlo Azeglio Ciampi, quella della «tv deficiente» e che aveva epiteti anche per il marito e lo azzittiva in pubblico.
Ma chi l'ha detto che le first lady devono essere discrete? È impossibile che le compagne di certi uomini siano donne venute al mondo solo per fare ombra. Che siano innocue creature sempre disposte a far rimanere il pensiero al di qua delle labbra. E manco lo vorremmo. La first lady deve farci sognare quanto se non più del premier. Dovremmo poterle invidiare il marito, i vestiti, le borse, la pettinatura, l'assenza di cellulite, la conoscenza delle lingue, la bella vita. Un premier che arriva «senza» consorte è come se ci facesse sognare a metà, come se facesse sognare solo metà della popolazione. Possibile che Jacqueline Kennedy e Nancy Regan, con la loro vita fatta a fili di perle, e Carla Bruni con l'atomica e la chitarra e perfino Michelle Obama con quell'insopportabile fissa per gli orti, la ginnastica e le calorie razionate non abbiano insegnato nulla a nessuno?
Nemmeno quella barzelletta su Hillary Clinton ai tempi della presidenza del consorte? Quella in cui Bill la beccava a baciare il benzinaio, suo ex del liceo, e non trovava di meglio che gonfiarsi il petto: «Pensa Hillary, se avessi sposato lui, a quest'ora saresti la moglie di un benzinaio». E lei gelida: «Se lo avessi sposato a quest'ora “lui” sarebbe il presidente degli Stati Uniti». Perché devono essere così le femmine dei potenti: coetanee o no, dovrebbero essere sempre più brave a trovare le parole per farli sentire piccoli. Donne che fanno la differenza, che scaldano, accendono.

Donne che, quando escono di casa o di scena, lasciano un silenzio sbagliato. Non sappiamo cosa farcene di quelle menti semplici ansiose di spiegare le complicazioni altrui, di look da panini al latte, dell'impronta da classifica di corsa campestre. Se premier dev'essere, che first lady sia.

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