Colpevole di omonimia: assolto dopo dieci anni

Era stato arrestato perché aveva lo stesso nome di un ricercato

Colpevole di omonimia: assolto dopo dieci anni

L'importanza, o la sfortuna, in questo caso, di chiamarsi Mohamed Salim. Al centro di un caso giudiziario per dieci anni per «favoreggiamento dell'immigrazione clandestina». E poi, improvvisamente, dichiarato assolto. Perché questo malcapitato era innocente e aveva la sola «colpa» di essere omonimo del Salim fuorilegge. Un nome che gli è costato dieci anni di serenità, per colpa di una giustizia abilissima a dare il peggio di sé.

L'intreccio surreale comincia nel 2004, con un'intercettazione di un Mohamed Salim albanese, componente di una banda che procurava falsi documenti a immigrati irregolari. Le indagini, condotte dall'allora pm di Palermo Antonio Ingroia, mettono nel sacco un Salim che non aveva niente a che vedere con l'omonimo intercettato: diversa nazionalità (bengalese), diversa residenza, diverso stato di famiglia. E poi quel problema di salute (è sottoposto a dialisi) che gli impediva di spostarsi, di affaccendarsi, di fare la spola tra i Balcani per organizzare gli sbarchi di clandestini. Ma tutto questo, evidentemente, non aveva importanza quanto il nome.

Così, per il «colpevole non colpevole» comincia un'odissea di sussulti, accuse e rinvii a giudizio, che culmina con l'arresto ai domiciliari. Anni vissuti all'ombra della condanna definitiva, che aleggia su di lui come una spirale velenosa: per il reato di cui è incriminato è prevista una pena massima di 15 anni di reclusione.

Dieci anni dopo l'inizio dell'incubo per lo sventurato, la giustizia si redime. E scopre tardivamente di aver processato per anni, con il dispendio di risorse a carico, un innocente, finito nei guai per via di una semplice carta d'identità. Una liberazione per il Mohamed sbagliato, quando i giudici della terza sezione del tribunale siciliano lo assolvono. Saputo della sentenza, Salim è scoppiato in lacrime, non è dato sapere se più di gioia o più di rabbia. Il suo avvocato, Giuliana Vitello, ha immediatamente annunciato la richiesta di un risarcimento per ingiusta detenzione. «Ho tentato più volte di far rilevare l'errore - ha aggiunto -. Fin dall'udienza preliminare, ma senza successo. Il mio cliente è stato danneggiato enormemente da questa incredibile vicenda». Non solo: «È stato difficilissimo garantirgli le minime cure necessarie - ha spiegato il legale -. Speriamo che la sentenza cambi le cose. Ha bisogno della migliore assistenza sanitaria».

Già, perché, in tutto questo, Salim è in una «situazione disperata»: non solo i problemi di salute, il processo gli ha impedito di riottenere il permesso di soggiorno, non ha lavoro, viene mantenuto nella casa del fratello a Monza che non può più permettersi di prendersi

cura di lui. Il clamoroso errore giudiziario gli ha cancellato tutto, speranze, prospettive, possibilità di riscatto, una vita normale. In un attimo. Per cancellare un'accusa inventata, invece, ci sono voluti dieci anni.

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