Pavimenti deformati, crepe sulle pareti, porte e finestre che si chiudevano a fatica. Questi i segni premonitori del crollo delle due palazzine che ieri a Palermo ha provocato quattro morti e sette feriti. Difficile, quindi, che all'origine del disastro ci sia una fuga di gas. Molto più probabile che ci sia la sopraelevazione forse abusiva, con un nuovo piano, di uno dei due edifici.
Come difendersi, dunque, dagli interventi che mettono in pericolo la sicurezza statica dei condomìni e con essa l'incolumità di abitanti e frequentatori? Come fermare i vicini che per avere la cantina o la sala da pranzo più grandi abbattono pilastri e muri maestri? Sulla carta è tutto chiaro e semplice. Il condòmino che teme che nel palazzo dove abita si stia realizzando un intervento che può provocare danni irreparabili, e quindi penalmente rilevante, si può rivolgere al Comune, il quale deve intervenire con una verifica ed eventualmente bloccando i lavori e imponendo il ripristino dello stato antecedente all'intervento. Lo scrive il Consiglio di Stato nella sentenza 5466 del 2007, spiegando che il proprietario di un'area o di un fabbricato, nella cui sfera giuridica incide dannosamente la mancata repressione di abusi edilizi da parte dell'organo preposto (per l'appunto il Comune) può pretendere l'esercizio dei poteri sanzionatori e un provvedimento che spieghi le ragioni dell'inerzia dell'organo preposto. E lo ribadisce la sentenza 1075 del 2012 del Tar lombardo, secondo il quale per la segnalazione di un presunto abuso di rilevanza penale basta una email o una telefonata.
Ma nella pratica le cose sono più complicate. «Nei condomìni molti interventi fuorilegge - spiega Giuseppe Bica, presidente dell'Anammi (Associazione nazional-europea degli amministratori di immobili) - sono fatti di nascosto, a Ferragosto... Impossibile scoprirli sia per gli altri condómini sia per gli amministratori. Inoltre questi ultimi, senza in consenso dei primi, possono fare ben poco. Se non denunciare i casi più gravi all'autorità giudiziaria».
E poi c'è un problema, per così dire, di contesto. «Non tutti gli abusi sono uguali - osserva Paolo Pietrolucci, di Confedelizia -. A Roma subito dopo la guerra molti palazzi vennero sopraelevati di due o tre piani ma non ci sono mai stati problemi perché gli edifici erano stati costruiti bene. Al contrario, nei decenni successivi interi quartieri furono realizzati al di fuori delle regole, di notte e con materiali scadenti». Quindi uno stesso intervento illegale può avere conseguenze molto diverse a seconda dell'edificio dove viene realizzato.
Una proposta di legge che non vide la luce prevedeva il fascicolo di fabbricato, con la cronologia di tutte le modifiche effettuate nelle parti comuni e nelle singole unità abitative. «Sarebbe stata una novità molto utile», dice Bica. «Solo un pezzo di carta. Meglio le verifiche mirate a carico dei Comuni», ribatte Pietrolucci.
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