Concorsi pubblici in remoto per l'alibi Covid. Ma così le garanzie costituzionali vanno in tilt

È giusto continuare a fare concorsi pubblici in remoto con l'alibi del Covid?

Concorsi pubblici in remoto per l'alibi Covid. Ma così le garanzie costituzionali vanno in tilt

È giusto continuare a fare concorsi pubblici in remoto con l'alibi del Covid? Proprio adesso che le amministrazioni cercano personale all'altezza delle sfide lanciate dal Pnrr? Il protocollo Stato-Regioni prevede l'utilizzo anche in futuro di «procedure telematiche da remoto», normate dall'articolo 10 del decreto legge numero 44 del 1° aprile 2021. Così i Comuni risparmiano sull'affitto di sale e di personale. Ma quanto valgono le garanzie previste dall'articolo 97 della Costituzione? È giusto delegare al privato cittadino l'autocontrollo sulla selezione, unica strada per accedere a un posto pubblico? Una prova da casa è davvero presidio delle «esigenze di imparzialità di selezione tecnica e neutrale dei più capaci», come vuole la giurisprudenza?

Il dibattito è acceso: c'è chi dice che bisogna sveltire le procedure di selezione, con tempi ragionevoli e meno discrezionalità, c'è invece chi sostiene che l'automazione scatenerà discriminazioni a raffica. «Durante il periodo della pandemia vi è stata una rilevante compressione delle libertà personali, le modalità straordinarie non sono più giustificabili», dice al Giornale il costituzionalista Ivano Iai.

Il Comune di Milano - ma le procedure sono le stesse ovunque - nei giorni scorsi ha bandito una selezione per 25 collaboratori amministrativi che prevede (pena l'esclusione) una particolare dotazione tecnica e una stanza silenziosa e correttamente illuminata (sic!) «con un'unica porta d'accesso chiusa ed inquadrabile da uno smartphone collocato alle spalle del candidato a circa 50 cm con un'angolazione rispetto alla scrivania di 45°», dove nessuno può entrare e senza che vengano inquadrati «oggetti e cose che possano far risalire a dati sensibili». «Significa delegare al privato non solo l'autorità e il controllo su buona parte dello svolgimento, ma anche determinare cause di esclusione in ragione della non idoneità dei mezzi di cui ciascuno disponga», è il ragionamento di Iai. Porteranno all'esclusione «eventuali anomalie o irregolarità», come un black out, un guasto o singole disconnessioni superiori a tre minuti. «Ma è lo Stato o l'ente locale che deve garantire lo svolgimento secondo criteri di imparzialità, massima trasparenza ed equità. Lo svolgimento delle prove in luoghi privati, ove questi possa realmente disporne (si pensi a un clochard) non assicura il pieno rispetto dei principi previsti dall'articolo 51 della Costituzione», ricorda Iai. Barare è tecnicamente possibile. Ci sono siti che spiegano come condividere lo schermo, esistono software come ManyCam che intercettano il flusso video e ne forniscono uno preregistrato. Ma chi controlla? Un software di monitoraggio e controllo a distanza chiamato proctor che segnala alla Commissione (e al l'Autorità giudiziaria) comportamenti potenzialmente o evidentemente fraudolenti con un algoritmo che analizza gesti e movimenti di corpo e occhi. Per il Garante della privacy il proctoring è vietato solo se «automatizzato» perché manca «una disciplina che bilanci protezione dei dati e garanzie sullo svolgimento». «L'applicazione delle novità tecnologiche non può essere ostacolata, ma deve essere recepita in disposizioni che garantiscano i principi costituzionali», conclude Iai.

Basta davvero un test per valutare un dipendente pubblico? Il fattore umano, le competenze psico-attitudinali, la motivazione non conta più? Davvero lasceremo all'intelligenza artificiale la facoltà di selezionare la Pubblica amministrazione, visto che potrebbe escludere a priori - è già successo - persone giovani, o donne, o perché portano gli occhiali o il velo?

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